“Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster”: sembra essere questa l’unica certezza di Henry Hill, nonché il desiderio che lo ha guidato nelle scelte di vita fin da quando era giovane. Da ragazzino, entra in contatto con la realtà criminale del quartiere: vede uomini temuti e rispettati, ricchi, eleganti, che non conoscono la fatica, perché non hanno bisogno di darsi da fare per ottenere ciò che vogliono. Perché andare a scuola ogni giorno, poi lavorare guadagnando una miseria, e diventare solo uno dei tanti volti anonimi che si confondono nella società? All’esistenza grigia e insoddisfacente condotta dai suoi genitori, Henry preferisce l’alternativa della mafia. Essere un gangster significa “essere qualcuno”, innalzarsi al di sopra della gente comune; l’appartenenza alla banda garantisce protezione, potere, ricchezza e soprattutto prestigio personale.,Cresciuto nella “Little Italy” di Manhattan, Martin Scorsese conosce la violenza di cui spesso parla nei suoi film. Celebre per le sue descrizioni dell’ambiente malavitoso, in Quei bravi ragazzi sceglie di utilizzare un taglio quasi documentaristico che non lascia spazio né a sfumature sentimentali né a giudizi moralistici: la crudeltà dei gangster parla da sé. Impossibile identificarsi con qualcuno dei personaggi: i tipi umani presentati dal regista sono per lo più trasfigurati dalla propria avidità, oppure caratterizzati da una meschinità di fondo che leva loro ogni barlume di umanità. È questo il caso dei due protagonisti principali (Henry – un Ray Liotta che fu lanciato dal film, e mai più così bravo, e la moglie, anche voci narranti), che si lasciano travolgere dalle circostanze, senza mai reagire di fronte ad atti ingiusti che per loro natura rigetterebbero, fino a perdere il controllo delle proprie vite. ,I rapporti tra i “bravi ragazzi” di Scorsese non si fondano sui tradizionali valori della famiglia e dell’amicizia, valori che altrove (si pensi al primo Padrino di Coppola) vediamo caratterizzare almeno in parte la fisionomia della società mafiosa italoamericana: l’unità del gruppo e il rispetto reciproco tra i membri che ne fanno parte si realizzano solo superficialmente. Alla fine, ciò che rimane dell’esperienza della mafia è una violenza fine a sé stessa, priva di motivazioni razionali. Forse per questo, il personaggio più emblematico dello stile di vita rincorso dal protagonista risulta essere Tommy, feroce e gratuitamente sanguinario; un personaggio reso indimenticabile dall’interpretazione di Joe Pesci (che vinse l’Oscar come miglior attore non protagonista) , meraviglioso caratterista, attore-feticcio di Scorsese e vera star del film, capace di oscurare anche un mostro sacro come De Niro. ,La colonna sonora accompagna continuamente le scene e, oltre a rivelare la passione del regista per la musica, contribuisce dapprima (come in Casinò, 1995) a descrivere con spensieratezza il mondo ammirato da Henry, e successivamente ad accelerare il ritmo di un racconto che – grazie a un notevole lavoro sul montaggio – si fa più rapido man mano che le angosce dei protagonisti prendono il sopravvento.,Maria Triberti,