Non certo un capolavoro, l’esordio alla regia di Helen Hunt ma un film interessante e in una certa misura anche controcorrente nel trattare temi quali la maternità e l’accoglienza. Film semplice, aggraziato, Quando tutto cambia ha dalla sua sicuramente un tocco femminile dietro la macchina da presa: la Hunt è al primo film e si notano certe ingenuità, una certa fretta nella consequenzialità dell’intreccio, alcune trovate un po’ forzate, qualche luogo comune nella gestione della crisi di coppia. D’altro canto, alla regista e sceneggiatrice e produttrice non manca la delicatezza nell’affrontare una materia scottante e dolorosa (e nemmeno troppo indagata al cinema) come la difficoltà nel rimanere incinta, le conseguenti ansie anche per l’età non più giovane (e la Hunt, che nella realtà ha qualche anno in più della sua protagonista, fa bene a non nascondere le rughe, anzi quasi ad esibirle sul suo profilo spigoloso). Non manca la discrezione e la sobrietà nel trattare la morte e l’abbandono e nemmeno l’ironia è assente, concentrata in un personaggio spumeggiante come quello interpretato da Bette Mider, meno invasiva, però, del solito, anche perché al centro di una situazione dolorosa che faticherà a risolversi.
Più di tutto, però colpiscono due aspetti: da un lato, la presentazione di due personaggi maschili molto fragili se non adolescenziali (Matthew Broderick, l’ex marito così vicino nei gesti e nelle indecisioni, persino nell’abbigliamento al Jason Bateman di Juno; Colin Firth è più deciso, ma patisce, specie nella prima parte del film, uno smarrimento soprattutto nel rapporto coi figli); dall’altro la decisione quasi ossessiva della testarda protagonista di voler un figlio a tutti i costi. Una decisione che si scontrerà con una realtà dura che si vuole a tutti i costi superare ma che alla fine, se accolta, sarà piena di possibilità positiva. Da questo punto di vista Quando tutto cambia è un titolo azzeccato e che rispetta il senso profondo del film, la sorpresa di una realtà che è più grande della tua aspettativa, ma che è, come sempre, meno efficace del titolo inglese, Then She found me che non si riferisce soltanto alla madre ritrovata durante il film, ma anche a una nuova e più vera maternità che si svela in un finale discreto e commovente.
Simone Fortunato