L’infanzia di tre fratelli viene narrata attraverso i ricordi di un’estate: sempre a torso nudo, immersi nella natura o nei dettagli di casa, attraverso una fotografia formale, che alterna toni soffici e dettagli precisi, esaltando colori e forme dei corpi. Esperienze oniriche come il volo o l’immersione sono metafore di uno stato di indecisione e titubanza di fronte al diventare grande che il più giovane e sensibile, Jonah, trasferisce nei disegni che ogni notte traccia nascosto sotto al letto dove dorme con i fratelli.

Jonah vive con la sua famiglia, i due fratelli, il padre portoricano e la madre italoamericana di Brooklyn, nella campagna a nord di New York. La famiglia vive un equilibrio precario, con la mamma che lavora come operaia, il padre come guardia notturna, e le differenze tra le culture dei genitori si rispecchiano anche nella quotidianità: dai figli che hanno colore della pelle e tratti somatici del padre, al tentativo di questi di insegnare ai figli a ballare muovendosi sensualmente come un latino americano e non rigidamente come un “bianco”, alla violenza che esplode quando il padre picchia la madre e sparisce per giorni, lasciandola prostrata e incapace anche di alzarsi dal letto per accudire i figli, costretti a rubare nei campi o nei negozi per sfamarsi.

Quando eravamo fratelli ricorda in certi momenti Un sogno chiamato Florida, nel mostrare l’abuso psicologico cui i minori sono sottoposti (là, quando la bambina era costretta a farsi il bagno a lungo mentre la madre si prostituiva nell’altra stanza, qua quando i genitori arrivano quasi al punto di avere un rapporto sessuale nel bagno ben sapendo che ci sono i figli nella vasca dietro di loro). Momenti di cui solo il piccolo Jonah sembra rendersi pienamente conto, anche riportando nei suoi disegni notturni, colori e sagome dell’accaduto. In altri momenti, la descrizione della compagnia dei tre, per taglio, colori e musiche, non può non ricordare The Tree of Life di Terrence Malick, anche per come viene mostrato l’ambiente sociale: una comunità povera, di chi lotta inutilmente per arrivare a una condizione economica migliore e sa di non avere speranza.  Il giovane Jonah, con la sua sensibilità, capisce questo meglio dei suoi fratelli, che ormai lo evitano, instradati nella scia del padre e della sua figura da macho.

Ciò che appesantisce però tutta la narrazione è un tono melodrammatico e un ritmo lentissimo (a volte documentaristico, a volte con l’insistito uso del flashback e delle musiche ossessivamente ripetute) che mettono a dura prova lo spettatore, mettendo in secondo piano quei dettagli per i quali il film andrebbe ricordato.

Beppe Musicco