A Parigi, nel 1972, vediamo un gruppo di studenti discutere delle prospettive del Movimento studentesco nato nel maggio 1968. Ci sono linee politiche diverse e anche sensibilità e caratteri differenti. In tutti c’è la voglia di partecipazione e cambiamento, che sfocia in scontri con la polizia, azioni dimostrative, dibattiti lunghi e inconcludenti. E nel desiderio che politica e vita coincidano, sperimentando “soluzioni” nuove negli ambiti affettivi (la rivoluzione sessuale), artistici, comportamentali (i rapporti con i genitori e in genere con chi non vive la loro esperienza). Nel gruppo di ragazzi spicca Gilles, alter ego del regista Olivier Assayas: innamorato dell’inquieta Laure, che lo lascia, si lega alla bella Christine; con lei e altri partecipa a una spedizione notturna che finisce con il ferimento di un vigilante; da qui la fuga in Italia, l’incontro con cineasti sperimentali che insinuano in lui il desiderio di fare arte e poi cinema. E anche qui ci sono varie possibilità da valutare: i documentari politici, il “cinema borghese” per cui potrebbe avere utili raccomandazioni paterne, un cinema più personale…
Presentato a Venezia 2012 dove ha ottenuto buoni consensi e il premio per la sceneggiatura, Qualcosa nell’aria (traduzione del titolo internazionale Something in the Air, ma l’originale francese Après Mai, “Dopo Maggio”, ci fa capire subito il contesto temporale e politico del post Maggio ’68) è un film complesso e interessante. Complesso, coinvolgente e interessante; ma non per tutti. Complesso, forse fin troppo, per chi non ha vissuto quei periodi e ne è lontano alcune generazioni; soprattutto se non ne sa e non vuole saperne. Ai giovanissimi di oggi, specie se non particolarmente “politicizzati”, forse quei coetanei di allora possono sembrare marziani. Coinvolgente, al contrario, risulta per chi – nostalgico, orgoglioso o depresso per le distanze tra ideali e loro realizzazione – quei periodi li ha vissuti. E comunque interessante per chi non rifugge dall’approfondire periodi storici così cruciali per la nostra contemporaneità – nel bene e nel male, la Contestazione ha cambiato modi, linguaggi, abitudini e relazioni – anche se all’epoca non aveva l’età oppure si trovava su posizioni politiche e culturali distanti.,In ogni caso, il pregio del film di Assayas (che torna agli anni della sua giovinezza, già trattati in L’eau froide del 1994) è un sguardo coinvolto – il protagonista è evidentemente ritagliato su di lui – e appassionato ma con una grande onestà di fondo; un’opera che non abiura gli ideali di un tempo (visti però con molta tristezza e malinconia, per la distanza dalla loro realizzazione) ma non fa sconti sulle utopie. Se per chi ne fu travolto, innocente, c’è comprensione e rispetto (e stringe il cuore a vedere ragazzi che avevano sogni grandi di cambiamento ma totalmente privi di strumenti per essere accompagnati nella vita; da qui l’uso delle droghe e le relazioni affettive fragilissime), c’è invece ironia e sarcasmo verso atteggiamenti ipocriti nemmeno troppo marginali (il maschilismo di fondo, di chi pure teorizzava la liberazione della donna). E soprattutto un giudizio severo sulla deriva violenta di quel “movimento” o di frange di esso. Perché qualcuno l’accettò, la violenza, e certo non era costretto “dalla società”. Chi non volle, come Assayas, si tirò indietro in tempo. Finendo magari su un set di serie B con lo sguardo divertito e perplesso, trampolino verso una vocazione artistica al cinema, capace anche di ridar vita alla donna amata (immagine poeticamente struggente) e che avrebbe dato frutti futuri. Anche raccontando una storia importante come questa.
Antonio Autieri