Nel suo Paese, il Bangladesh, infuria la guerra civile; e violenze e uccisioni sono pericoli reali, soprattutto per chi indossa una divisa da poliziotto. Così, Nura Mohammad fa credere al figlio Fahim, di 8 anni, di volerlo portare in Francia a conoscere un grande maestro di scacchi, attività in cui il piccolo eccelle, per affermarsi. In realtà l’uomo, costretto a partire con Fahim lasciando la moglie con altri due figli di cui un neonato (per non dare nell’occhio e non essere vittima delle violenze tra fazioni), cerca un posto nel mondo occidentale dove poter guadagnarsi da vivere e poi farsi raggiungere dal resto della famiglia. Ma Nura scopre ben presto che l’Europa e la Francia non sono il Bengodi: a Parigi il maestro Sylvain – scorbutico e solitario – non vorrebbe nemmeno prendere Fahim nella sua scalcinata scuola di scacchi per bambini; e lui, straniero che non riesce a farsi comprendere perché conosce solo la sua lingua e non riesce a trovare né lavoro né asilo politico, rischia di essere espulso. Intanto Fahim – che soffre per lo strappo della separazione dalla madre – conquista sempre di più Sylvain, ex campione che si porta dietro dolori e frustrazioni per le occasioni perdute nella carriera sportiva e nella vita. E che vede in lui, e nel suo talento di fuoriclasse degli scacchi, una possibilità di riscatto anche per sé.

La storia che racconta Qualcosa di meraviglioso non è originalissima: di persone che attraversano il mondo per sbarcare in Occidente, alla ricerca di un futuro radioso o anche solo di sopravvivenza per sé e i propri cari, non sono piene solo le cronache ma anche il cinema. Anche nella sua variante giovanile e/o sportiva. Qui abbiamo tutti questi elementi, e i sospetti di furbizia ci sarebbero tutti. Per non parlare dei film su un rapporto conflittuale ma fecondo tra un allievo e il suo maestro (in svariati campi). Sennonché la storia di Fahim Mohammad è verissima, e fece scalpore pochi anni fa in Francia (anche per un intervento in diretta radiofonica, che non sveliamo, che cambiò il destino del ragazzo).

Ci sono due coppie (anche di più, ma due sono essenziali) al centro del film diretto da Pierre-François Martin Laval (attore – qui ha il piccolo ma decisivo ruolo di Peroni, “costretto” a ricordarsi delle sue origini italiane da migrante – e regista in genere di commedie sopra le righe): quella formata tra Fahim e il padre, legati da tenero affetto e dai mille tentativi dell’uomo per far star bene il figlio e fargli prosegui la sua “missione”; e quella tra il figlio e Sylvain, inizialmente difficile, poi sempre più ricco di esiti (non solo sportivi). E a questa seconda coppia che il film dà progressivamente più spazio: e se il piccolo Ahmed Assad, per la prima volta impegnato nel cinema, è un prodigio di spontaneità e freschezza, il burbero Sylvain Charpentier – ricalcato su Xavier Parmentier, il vero allenatore – trova in Gérard Depardieu il suo interprete ideale con i suoi silenzi, le sue malinconie, il suo sguardo paterno sugli allievi.

Il film alterna momenti drammatici a episodi di “alleggerimento”, risultando felice soprattutto nel tono di commedia per ragazzi che a un certo punto si impone, tra gare con avversari antipatici, comunione di intenti e sostegno (anche nel tifo) dei compagni di squadra, battute ironiche; mentre un tocco di leggerezza e umanità lo regala l’unico personaggio femminile di spessore, Mathilde, interpretato da Isabelle Nanty: Ma il dramma è sempre pronto a esplodere, perché Fahim non ha i documenti in regola: e rischia di perdere il padre, prima che il Campionato nazionale cui lo iscrive il suo allenatore. Campionato che potrebbe diventare, però, una chiave di risoluzione dei loro problemi.

Non ci si possono aspettare grandi sorprese da Qualcosa di meraviglioso, che ha uno sviluppo fin troppo tranquillo e a tratti prevedibile. Ma via via la storia si fa intensa e il finale regala le emozioni più forti. Un classico feel good movie tratto da una storia vera, che punta molto su elementi classici – lo sport e il gruppo come chiave educativa, il rapporto con un mentore – e sul tema di attualità per eccellenza, ovvero l’immigrazione. Un film edificante in senso buono, che si presta bene anche per proposte nel mondo della scuola, perché è sicuramente un’opera che può piacere e insegnare qualcosa ai ragazzi (forse più ancora che agli adulti). E che sottolinea una volta di più che, contro la violenza e i soprusi, la forza di volontà, il talento e soprattutto un maestro che ti guida sono gli elementi fondamentali per tutti. Anche per noi.

Luigi De Giorgio