Due giovani sbandati decidono di rapinare un ristorante. Una coppia di gangster gira per Los Angeles sistemando un po’ di affari per il boss. Un pugile scappa dopo aver messo k.o. l’avversario in un incontro truccato. Non sono storie differenti ma sequenze diverse di uno stesso, grosso racconto, che si rincorrono e si intrecciano, scorrono parallele e si intersecano non curanti del rigore cronologico e di molte delle regole che il cinema ci aveva insegnato a rispettare. Sono troppi i motivi per i quali Pulp Fiction è uno dei film più importanti (ed elettrizzanti, e divertenti, ed eccentrici e tanto altro) della storia del cinema. Tra questi il principale è stato il merito di aver ridato linfa vitale al grande schermo che a metà degli anni 90 sembrava aver esaurito sia la sua vena autoriale sia la spinta propulsiva dei generi. ,Con Pulp Fiction Quentin Tarantino, dopo la sua sorprendente opera prima Le iene, capolavoro low budget, traghetta questa forma d’arte nel nuovo millennio, creando un cinema mainstream ma con una forte impronta estetica, introducendo un linguaggio inedito e un nuovo modo di raccontare, un’opera che si compiace dei suoi mezzi ma non fa nulla per nascondere la finzione: in tanto cinema dei successivi decenni riaffiorirà uno o più elementi della poetica tarantiniana, da quella massiccia ma sottile ironia presente anche nei momenti più drammatici, alla capacità di mescolare i piani, di scombinare il racconto, di giocare con lo spettatore, di scrivere personaggi e situazioni incrociando esagerazione e squarci di realtà. Registi alle prime armi lo scimmiotteranno in lungo e in largo, senza riuscire a coglierne la finezza ontologica e narrativa (perché ogni elemento in Pulp Fiction non è mai un divertissement fine a se stesso ma un ingranaggio in funzione del racconto) mentre autori già navigati ne riproporranno, a tratti e a modo loro, il mood, lo stile, caratterizzato da lunghi dialoghi che si inerpicano sugli argomenti più futili facendo da trampolino emotivo per il dirompere dell’azione, sia essa fisica o verbale, contornata da una violenza tanto smaccata da risultare volutamente paradossale. E poi ancora personaggi curati in ogni dettaglio, espressione, morso, con un cast di star utilizzate in maniera inedita, ma che sembra non abbiano fatto altro per tutta la carriera da quanto intensa e convincente è la loro recitazione. ,E infine il grande shaker di stili e citazioni: Tarantino mescola piani e generi pescando dal repertorio pulp, noir, thriller, e poi ancora tanto cinema anni 70 e b-movies. E crea a sua volta icone pop, trash, splatter o – meglio ancora – pulp: Uma Thurman in overdose, i gangster in doppiopetto che dissertano del sistema metrico decimale e di massaggi, Bruce Willis che sfreccia su un chopper dopo una delle sequenze più angoscianti, perfide e perverse della storia, il twist di John Travolta, Mr. Wolf che risolve problemi, una colonna sonora eterogenea e indimenticabile, citazioni a non finire lasciate in eredità per i posteri. Pulp Fiction diverte, eccita, sorprende, piantando una siringa di adrenalina nel cuore dello spettatore che può risvegliarsi di soprassalto, un po’ stordito ma felice: il cinema è ancora vivo. ,Pietro Sincich,