In una cittadina della provincia americana due coppie di amici festeggiano il giorno del Ringraziamento, con i rispettivi figli. Le due bambine delle rispettive famiglie, a un certo punto, escono di casa per giocare: pochi istanti dopo sono sparite, nel nulla. Chi le ha rapite? I sospetti si concentrano su un camper parcheggiato lì vicino pochi momenti prima, e infatti il suo giovane e stralunato conducente viene arrestato dalla polizia. Ma poi rilasciato per assenza di prove. Eppure, mentre si scatena un’angosciosa ricerca delle due bambine, il padre di una delle due (strepitoso Hugh Jackman, in uno dei suoi ruoli migliori) è convinto che il colpevole sia quel ragazzo disturbato, che davanti a lui si è lasciato sfuggire una frase ambigua e sospetta. Il poliziotto incaricato delle indagini (un ottimo Jake Gyllenhaal) fatica per farlo ragionare e per chiedere fiducia nelle ricerche, in cui è seriamente impegnato. Per quel padre, ogni minuto che passa la fine della sua bambina diventa più probabile. Ed è disposto a tutto per trovarla, non credendo più nella giustizia altrui.

La trama, così sinteticamente riassunta, può essere fuorviante. E ricordare film, anche ben fatti, ma prevedibili (come Ransom di Ron Howard, con Mel Gibson). Invece Prisoners è tutt’altra cosa, un thriller cupo e angoscioso ma di grandissima qualità, con qualità d’autore vero come svela la firma del regista canadese Denis Villeneuve, che si fece notare con La donna che canta (un piccolo film sul dilemma tra vendetta e perdono nell’inferno libanese), candidato un paio di anni fa agli Oscar. Tra segni religiosi, preghiere, sensi di colpa e scoppi di violenza, i personaggi si muovono colpiti da un’improvvisa e profonda insicurezza, di cui sono “prigionieri”. Quell’uomo che cerca la figlia e che ha già individuato, non ascoltato, il colpevole ha fondato la sua vita sull’ossessione, e illusione, del controllo e della protezione dei suoi cari, con tanto di rifugio fornitissimo “per ogni evenienza”. E la moglie (l’intensa Maria Bello), da lui sperava davvero la loro sicurezza: «Avevi promesso che ci avresti protetto da ogni cosa». Se lo sviluppo del giallo può lasciare qualche dubbio (una sinteticità di racconto avrebbe giovato), impressiona che i toni cupi di questa ricerca delle piccole rapite siano lo specchio di cuori che sembrano puri e invece rivelano tenebre dense. Perché un colpevole ci deve essere, in questa maledetta storia. Ma è anche certo che il male non è sua esclusiva prerogativa.

Antonio Autieri