Non romanza né giudica Roberto De Paolis mentre racconta la vita quotidiana di una prostituta nigeriana diciannovenne e delle sue colleghe/amiche che esercitano ai margini di una delle strade che attraversano la pineta di Ostia, in costante precarietà, tra contrattazioni e piccoli imbrogli, violenze e soprusi ma anche una strana seppure fragile solidarietà.

Il “lavoro” ha talvolta l’aspetto di una routine quasi noiosa (come quando Princess lascia sfogare un cliente mentre lei scrolla il cellulare come certe adolescenti annoiate), a volte sembra nascondere l’aspirazione a qualcosa di più bello e più grande, fosse anche solo una corsa in una bella macchina o la finzione di un legame diverso. Non che Princess si faccia delle illusioni sulle persone che ha di fronte (e del resto la carrellata di uomini che vediamo alternarsi non rappresentano certo un grande spaccato del genere umano, pronti come sono a usare del corpo che hanno tra le mani e a cercare lo sconto, a ricattare e imbrogliare senza nemmeno fingere di avere una persona reale di fronte).

E del resto nemmeno Princess vuole essere se stessa durante il lavoro: si traveste con improbabili parrucche e nomi sempre diversi, si convince che il corpo sfruttato non sia davvero il suo e invece, come le ha promesso chi la sfrutta, quello di una donna in Nigeria con cui un incantesimo lo ha scambiato. Di fronte a questo squallore colpisce l’approccio vitale e talora aggressivo di Princess e della altre ragazze, quando hanno del “tempo libero” o festeggiano una ricorrenza, come il compleanno di Princess, celebrato in una forma quasi religiosa dalla sua comunica apparentemente dimentica o complice del terribile modo in cui la ragazza vive.
In una estenuante girandola di clienti e prestazioni emerge Corrado, che nei boschi è a cercare funghi con il cane, o forse è solo troppo timido per ammettere quello che cerca davvero, ma che comunque poco a poco riesce a stabilire con la ragazza un contatto, fino ad invitarla a casa sua e in un locale (dove si infiltrano in una festa privata e finiscono per cantare a una specie di karaoke improvvisato). E qui per un po’ sembra che Princess possa immaginare una vita diversa, anche se poi è lei a pretendere di tornare al rapporto mercenario, che le sembra più sicuro e meno ambiguo.

De Paolis tallona testardamente la sua protagonista (l’esordiente Glory Kevin che davvero ha alle spalle un passato di sfruttamento e prostituzione) e riesce senz’altro a stabilire un senso di grande realismo senza cedimenti al patetismo o al moralismo, e tuttavia dopo un po’ il succedersi degli eventi e la litania di situazioni, in assenza di una vera e propria percepibile drammaturgia, non riesce a creare una reale connessione con lo spettatore e finisce per risultare ripetitivo ed estenuante.

Una confezione più asciutta e una struttura un più robusta avrebbero senz’altro giovato al film che, nonostante il suo approccio vitalistico, rischia di restare il classico “film da festival” senza un vero pubblico.

Laura Cotta Ramosino

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