Quando al cinema arriva un film tratto da una licenza videoludica è sempre difficile parlarne: gli appassionati dell'originale temono stravolgimenti eccessivamente lontani da ciò che hanno amato e i cinefili (e critici) puristi storpiano il naso al sol pensiero che la loro arte si sia abbassata a mettere in scena “Pac-man”. Personalmente ci troviamo nel mezzo di queste due posizioni, anche perché la maggior parte degli adattamenti ha davvero preso licenze da videogiochi dallo spessore narrativo di un solitario. Ma questa volta è diverso: in una Persia da “Le mille e una notte”, un piccolo orfano di nome Dastan dà prova del proprio coraggio a tal punto da convincere il re ad adottarlo e farlo crescere assieme agli altri due suoi figli. Il giovane, cresciuto con i bellicosi fratellastri, non perde l'impeto giovanile e, nell'assedio alla città di Alamut, scala le mura, vola sui tetti, muove ingranaggi, combatte, salta, piroetta capovolto e carpiato. La principessa Tamina (Gemma Arterton) nasconde un oggetto segreto e potentissimo, Dasdan (Jake Gyllenhaal) se ne impossessa senza saperlo, scatta la trappola: colpo di scena, cazzotti, salti e fuga vorticosa. Alfred Molina aggiunge brio nell'arsura del Marocco e inveisce contro il capitalismo, che schiaccia i piccoli imprenditori di bische clandestine sulle corse di struzzi: si ride, e ancora cazzotti salti e fughe vorticose. Si svela il mistero con il rewind, i destini si incrociano: Gyllenhaal e la Arterton trovano sintonia e i pubblico si appassiona.,Jerry Bruckheimer produce un surrogato dei Pirati dei Caraibi che tuttavia funziona grazie all'ambientazione suggestiva, all'intreccio canonico e a due protagonisti che sono bravi e belli. Dasdan non è certo Sparrow, ma Tamina è più simpatica di Elisabeth Swan e il film risulta un piacevole “divertissement” che convince nonostante le imperfezioni.,Andrea Cassina