Tratto da una pièce teatrale di Laura Wade e diretto con la ormai nota eleganza da Lone Sherfig (An Education) questa ennesima critica al classismo inglese, che inizia con un inutile antefatto storico (tanto goffo da sembrare una caricatura), è però uno di quei film che, nonostante una pregevole fattura e un cast interessante, sembra aver detto tutto quello che aveva da dire dopo i primi dieci minuti e non raccoglie ciò che promette in termini di approfondimento psicologico. Presentati i suoi personaggi, uno più odioso dell’altro salvo il Miles di Max Irons (membro della classe giusta, ma con uno spirito filo-proletario che gli fa scambiare la stanza vip con una topaia, difendere il welfare e agganciare una ragazza che ha fatto le scuole pubbliche), di fatto la pellicola non ha molto altro da aggiungere, se non un paio di camei di – televisivo – lusso (Jessica Brown Findley di Downton Abbey e Natalie Dormer di Game of Thrones) e la grande scena della distruzione del pub con esito tragico largamente prevedibile.
La regia ci racconta tutto con eleganza e un certo ritmo, che però per certi versi ci fa rimpiangere ancora di più (soprattutto sapendo quando bene ha fatto altrove la Sherfig) che il racconto non sappia andare più a fondo delle dinamiche umane e, tranne per qualche rara incursione tra i titolari del pub e nel personaggio della ragazza proletaria, resti rinchiuso nel punto di vista di questi privilegiati che mai mettono davvero in dubbio la propria superiorità. La scelta di condensare le malefatte del club (che a conti fatti prevede tre anni di eccessi alcolici, gastronomici e sessuali come preparazione ad anni di leadership del Paese) in un’unica notte è figlia della struttura teatrale, ma è difficile pensare che il pubblico avrebbe digerito una più lunga panoramica sulle “avventure” di questi giovanotti dal dubbio fascino (persino le ragazzine che lanceranno urla di entusiasmo all’ingresso in scena dei loro idoli Douglas Booth, Sam Claflin e Max Irons (finiranno per annoiarsi dopo i primi 30 minuti). Le psicologie del film sono definite, ma essenzialmente perché rischiano di diventare semplici cliché, forse anche realistici rispetto alle situazioni descritte, ma non per questo più interessanti. I dilemmi morali del protagonista Miles si aprono e si chiudono nello spazio di una scena e il finale amaro (ma anche un po’ “appeso”) fa si che la critica sociale lasci ben poca soddisfazione.
Peccato perché il cinema inglese ha dimostrato molte altre volte di saper raccontare con graffiante cattiveria i riti di una nazione ancora molto legata alle sue strutture sociali e al suo sistema di privilegi che qui sono descritti nei loro riti, ma non indagati nelle implicazioni che hanno sia su chi li subisce che su chi li esercita. Qui però il gioco è falsato, siamo tutti dalla parte dei poveracci che i membri del Riot Club tanto disprezzano dal primo minuto e non bastano gli occhi e il sorriso del bel Max a farci sentire il fascino di un mondo a cui non passa persino la voglia di appartenere… Il film è vietato ai minori di 14 anni.
Luisa Cotta Ramosino