Luca, da piccolo, vide morire la madre mentre era in auto con lui, in un terribile incidente. In Africa per i frequenti viaggi del padre geologo, stavano andando a una visita medica per Luca, e forse c’era da ricomporre un piccolo problema dovuto a una sua “marachella”. Fatto sta che quell’incidente segna la vita del bambino: un senso di colpa che riesplode in età matura – nonostante amicizie, amori, successo da musicista jazz – e che si acuisce forse a causa di una famiglia di brave persone ma che sono anche “solisti” (affettivamente parlando, e infatti il fratello e le sorelle non si sposano) come dice il padre. “E chissà se è una bella cosa” gli risponde Luca.,Interpretato da un superbo Kim Rossi Stuart, tra i migliori attori italiani, Piano, solo è un film onesto, che merita una visione (non fosse altro per saperne di più di un personaggio che fino a poco tempo fa conoscevano solo i cultori del jazz) e che emoziona a tratti (soprattutto le prime scene relative all'infanzia e alla morte della madre) ma non convince. Né dal punto di vista cinematografico, a causa di una regia che sceglie di pigiare sul pedale retorico a fini lacrimatori (talvolta anche ricattatori, come per esempio nelle sequenze finali del filmino di famiglia vero, con il Luca Flores reale da bambino) e che scolorisce molte figure di contorno che dovrebbero essere invece importanti nella storia. Se Rossi Stuart restituisce il Flores che amici ed esperi musicali hanno conosciuto, e se Michele Placido offre con bravura un padre sofferto e impotente di fronte alle sofferenze del figlio, i fratelli (Paola Cortellesi, Corso Salani, Mariella Valentini) figurine sono un po’ bloccate e inespresse, gli amici musicisti (Claudio Gioè e Roberto De Francesco) comparse un po’ scontate. E soprattutto Jasmine Trinca, che incarna la fidanzata che non riesce a “salvarlo”, è un personaggio abbastanza odioso e mal scritto (fin qui, nessun problema: ma non sembra voluta dal regista questa rappresentazione): possibile che, entusiasta di essere incinta, decida improvvisamente di abortire perché lui – già “strano” – insinua che non sia suo? (ma c’è da dire che la battuta: “Adesso vuoi un bambino? Io un bambino ce l’avevo, nella pancia…” dice della falsa coscienza di tanto progressismo sull’aborto e sulla natura del feto). Interessante, però, da un certo punto di vista (involontario anche questo?) che lei pensi con presunzione, nei momenti felici, di essere la risposta alla sua inquetudine…,Ma questo piano, su cui si annotano le delusioni maggiori, si doveva approfondire di più: come nel libretto di Veltroni (che ha comunque il merito di aver fatto luce su un personaggio che era doveroso far conoscere) il senso di colpa per la morte della madre è la prima e ultima parola su una vita segnata fin dall’infanzia, così il film non apre dubbi su una disperazione che meritava – anche in chi stava accanto a Flores, non solo in chi ne ha raccontato la vita – di essere accolta come grido. Un grido di chi ha sofferto un grande dolore e vede in amici, parenti e donna amata un’impossibile risposta a quel dolore. Ma proprio per questo, un grido che chiedeva squarci di significato e una risposta adeguata alla dimensione di quel dolore. Ma questo è un problema non tanto di registi o scrittori, quanto di uomini capaci di interrogarsi di fronte all’altrui (e propria) sofferenza.,Antonio Autieri,

Piano, solo
La vera storia del talentuoso jazzista Luca Flores, suicida a 39 anni, tratta dalla biografia “Il disco del mondo” di Walter Veltroni.