Nel 1972 il venticinquenne Reiner Werner Fassbinder realizzò Le lacrime amare di Petra Von Kant, ispirandosi alle opere drammatiche e sentimentali del regista americano Douglas Sirk, da cui era rimasto profondamente colpito. Il film era un dramma claustrofobico, ambientato interamente in un appartamento e interpretato da sole donne. La protagonista era una stilista che aveva una relazione emotivamente violenta con la sua assistente residente, e poi concepiva un amore folle e disperato per una bellissima giovane donna, che però la tradiva apertamente (trasposizione del sentimento non corrisposto che Fassbinder provava per Peer Raben, suo assistente e compositore delle musiche dei suoi film).
Nel suo remake François Ozon ha rimosso le “lacrime amare” dal titolo e anche dal film stesso (presentato alla Berlinale 2022), ma mantenendo l’ambientazione negli anni 70. Facendo un confronto, questo film è decisamente più esagerato e leggero del triste calvario girato da Fassbinder, e questo dipende dal fatto che è (principalmente) interpretato da uomini: quella che allora era la stilista adesso è un regista omosessuale, Peter von Kant, interpretato in modo chiassoso da Denis Ménochet (con tratti fisici che dovrebbero rimandare allo stesso Fassbinder, sebbene molti abbiano fatto notare che Fassbinder era molto più duro e meno sentimentale).
Con Peter c’è sempre un impassibile cameriere/dattilografo chiamato Karl (Stefan Crepon), che in modo comico – invece che tragico o erotico – è testimone intimo di tutti gli scontri appassionati tra Peter e il suo amante. L’odiosa antagonista femminile della Petra del primo film è ancora una donna: Sidonie, interpretata da Isabelle Adjani. Così come sempre donna è anche la figlia adolescente di Peter, tornata dal collegio, interpretata da Aminthe Audiard (nipote del regista Jacques Audiard), che con la sua presenza civettuola e impertinente sembra voler dare al film un tono da commedia anni 40. Il bello e ambiguo amante di Peter, Amin, è interpretato da Khalil Gharbia, mentre Hanna Schygulla, che ha interpretato il ruolo dell’amante nel 1972, è stata richiamata per interpretare la madre di Peter.
Ora che sullo schermo ci sono sia uomini che donne le dinamiche del film sono più complesse, ma dall’impianto altrettanto teatrale ed artefatto; Ozon furbescamente fa di Peter un regista, il che significa che così può fargli girare la scena di un provino ad Amin la prima volta che questi fa il suo ingresso nel suo appartamento. Mentre lo inquadra (una delle scene più intense del film), chiede ad Amin della tragica morte dei suoi genitori mentre la camera riprende, e Amin risponde con l’intensità – in parte sadica, in parte empatica – di un freddo assassino.
La maggior parte dei personaggi del film, ovviamente, sono patetici, isterici, manipolatori e violenti, ma al di là di questo c’è qualcosa di leggero e farsesco in questo nuovo Von Kant: un uomo totalmente piegato dall’innamoramento, che sembra cercare nel pubblico una comprensione, quasi un invito a guardarsi in uno specchio.
Beppe Musicco
Clicca qui per rimanere aggiornato sulle nuove uscite al cinema
Clicca qui per iscriverti alla newsletter di Sentieri del cinema