In una Napoli contemporanea violenta e livida, che non ha più niente del folklore cartolinesco, l’avvocato Demetrio Perez si trascina stancamente tra piccole cause di delinquenti di mezza tacca che nessuno vuole difendere; e che spesso lo rifiutano, se lui fatalisticamente non si danna l’anima per salvarli. L’unica nota positiva della sua vita da perdente (lasciato dalla moglie), è la bella figlia Tea, così chiamata perché è la versione femminile della parola Dio (di lei dice, « è tecnicamente e spiritualmente la mia vita»). Ma il suo legame amoroso con Francesco Corvino, un aitante appartenente a una famiglia camorrista, la allontana da lei. Quando un boss di una banda rivale, Luca Buglione, in prigione vuole collaborare con la Magistratura ma chiede di essere difeso da lui, finisce in trappola: Buglione ha bisogno di Perez per recuperare un ricco bottino di diamanti (nascosti nel più improbabile dei nascondigli: nella pancia di un toro…), che per il disturbo ne terrebbe qualcuno risolvendo ogni suo problema; in cambio lui, che conosce le imprese criminali di Corvino, lo farà sistemare… Cosa fare – mentre anche i giudici gli stanno addosso – pensando all’amore tra quell’uomo e sua figlia che per lui è disposta a perdere il padre?
Dopo l’esordio di Mozzarella Stories, Edoardo De Angelis mantiene qualcosa di quel debutto sordido e grottesco ma calca sul pedale del noir, con un protagonista perdente e disilluso. Luca Zingaretti ha classe ed esperienza, ma è un po’ bloccato in un ruolo monocorde, di persona in trappola che annaspa per non affogare; e la voce fuori campo rende un po’ tutto troppo spiegato. Ma funzionano i duetti con il giovane camorrista interpretato da Ciro D’Amore (star della serie tv Gomorra) e soprattutto con l’ottimo Massimiliano Gallo – che ha le battute migliori – nei panni del boss che fissa le condizioni per collaborare con la giustizia; e anche con Giampaolo Fabrizio nei panni dell’amico avvocato Merolla, più conciato di lui. Il film si avvale di buon ritmo e tensione, anche se il tutto è a discapito di passaggi psicologici e narrativi meno curati. Si va a sprazzi, alla ricerca della scena a effetto (un suicidio annunciato nelle prime scene, le trasgressioni dei personaggi più giovani, il recupero notturno dei diamanti nell’allevamento), e il finale è serrato e confuso al tempo stesso. Ma le qualità da buon regista di confezione ci sono: se la qualità delle storie migliorerà e qualche vezzo autoriale verrà tenuto a bada, da De Angelis potremo ottenere, finalmente, quel buon cinema di genere che manca da troppo in Italia.
Antonio Autieri