Per chi è stato giovane negli anni 60, ma anche per tutti gli appassionati di calcio, il nome di Pelé è la quintessenza del calcio brasiliano, quello che ha vinto cinque campionati mondiali, quello che ha fornito innumerevoli campioni, quello che soprattutto ha espresso una modalità di gioco unica e inimitabile, fatta di agilità, fantasia, creatività e capace di affascinare gli spettatori di tutta la terra. E il calcio brasiliano deve gran parte di tutto questo a Pelé, il giocatore che nella sua lunga carriera ha segnato 1283 gol, più di ogni altro giocatore professionista al mondo, l’unico che si sia aggiudicato tre mondiali con la nazionale, nella quale esordì a soli 17 anni portandola alla vittoria contro ogni pronostico. In più, Pelé ha sempre avuto un grande fascino su tutti: aperto, disponibile, sorridente e sempre molto corretto: l’ambasciatore ideale per far amare il calcio.
Ora, che sia difficile fare un film sul calcio giocato non è una novità, ma colpisce alquanto in questo film l’andamento monocorde e la scarsissima quantità di entusiasmo che il film riesce a produrre. La chiave del successo del gioco di Pelé, viene detto nel film, è la “ginga”, uno stile di gioco derivato dalla capoeira, un mix tra lotta e danza tipico degli schiavi portati in Brasile dall’Africa. Nei discorsi del padre Dondinho al piccolo Pelé, la ginga è l’espressione più vera del popolo brasiliano e lui è chiamato sempre a ricordarsene, nonostante il calcio ufficiale guardi al modello europeo dopo la bruciante sconfitta del 1950 nella finale di Coppa del Mondo contro l’Uruguay. A rendere più efficace questa contrapposizione nel film, la prima squadra con cui Pelé partecipa a un torneo è composta da ragazzi di colore che giocano scalzi contro una squadra tutta di giocatori bianchi e dalle uniformi eleganti, capitanata dal figlio di una famiglia di ricchi che si chiama José Altafini (peccato che però Altafini venisse da una famiglia di emigranti italiani tutt’altro che ricchi). Comunque tutto il film è un continuo confronto tra lo stile creativo del gioco di Pelé ed allenatori cui fanno comodo i suoi gol ma non tollerano il modo con cui li fa.

Nonostante l’evidente bravura calcistica dei due interpreti del giocatore (uno più piccolo, l’altro quindicenne), il film è veramente godibile solo quando chi interpreta Pelé fa del virtuosismo col pallone, o una palla di stracci o addirittura dei frutti di mango. Quando si tratta invece di scendere in campo, le simulazioni delle partite sono tanto evidentemente poco convincenti, che i registi devono ridursi a usare ralenti ed effetti speciali che rendono le scene ridicole come le azioni di Shaolin Soccer, con la differenza che quello era un film comico. Detto questo, Pelé andrebbe comunque visto dai suoi fan e anche dai più giovani, perché almeno sappiano chi è il giocatore e quanto tutti gli amanti del bel gioco gli debbano. Almeno fino ai titoli di coda, sui quali scorrono (finalmente) le riprese delle sue partite e dei gol più famosi. Quelli sì, sono un vero spettacolo.

Beppe Musicco