Ed è solo l’inizio di un film la cui storia all’osso sarebbe molto semplice, ma che l’esordiente regista Silvio Muccino – giovane attore tra i più popolari nel pubblico giovanile e fratello del regista Gabriele (che di recente ha sfondato anche a Hollywood) – complica all’inverosimile. La ragazza di ottima famiglia è perversa e dissoluta, Sasha è sfortunato ma buono, Nicole è confusa e segnata da una tragedia che le impedisce di vivere con felicità il matrimonio. E poi c’è l’amico drogato che cerca riscatto (indovinate che fine fa?), un nugolo di ragazzacci dediti al gioco e alle orge, una Roma inquietante e angosciosa. Soprattutto, ci si chiede cosa facciano davvero i personaggi del film, che anche quando “dicono” di fare un lavoro non si vedono mai all’opera (e, soprattutto, non ci si crede). Ma sempre a parlare, parlare, parlare… Almeno i dialoghi fossero decenti: non poche le battute che “chiamano” involontariamente alla risata (“Cosa ti viene in mente quando pensi a Benedetta?”; “Erba tagliata…”. Male, si direbbe…). Mentre risultano insopportabili e artificiosi i toni strillati, gli insulti, le continue litigate, riappacificazioni, tensioni ed emozioni estreme…,Come nel romanzo da lui stesso scritto insieme a Carla Vangelista (e la sceneggiatura è ancora a quattro mani), il film è barocco, pieno di orpelli, frasi sentenziose ma spesso vuote come slogan pubblicitari; in un accumulo che sembra quello di chi ha tante cose da dire, ma forse è solo confuso su cosa vuole dire e come farlo.,Con l’aggravante che il passaggio al media visivo ci “regala” il narcisismo di Muccino attore, che si fa riprendere spesso nudo fino alla cintola, con muscoli torniti sempre in mostra, con la faccia eternamente stralunata e perplessa, ma sempre ben curato al tempo stesso nei suoi mille look da ragazzo trasandato in maniera trendy, dannato ma dal cuore d’oro. Nonostante un cast tecnico di prim’ordine (Arnaldo Catinari alla fotografia, Maurizio Millenotti ai costumi, Andrea Guerra alle musiche), il film scambia la ricercatezza con lo stile: e abbonda di inquadrature e luci a effetto, soluzioni ricercate che vorrebbero essere “artistiche”. Che possono essere scambiate per uno stile personale solo dai distratti, e invece sono rimasticature, omaggi, scopiazzate, e peraltro più simili a uno spot (anche nelle scene di sesso finto torbido) che ai titoli cui si dovrebbe ispirare “Parlami d’amore”.,Muccino ha parlato di grandi temi, ossessioni e spunti per presentare il suo film, e ha anche snocciolato le numerose citazioni sparse qua e là. Nessuno le coglie, ma non importa; non è quello il motivo per cui “Parlami d’amore” è un film brutto e sbagliato. Semplicemente, come tante volte è già successo, un simpatico e discreto attore in ascesa non è detto che possa diventare un discreto regista. Nel caso del giovane Silvio non si direbbe proprio, checché lui ne pensi.,Antonio Autieri