Colpito fin dalla elezione dalla figura di papa Francesco, il regista Wim Wenders fu sorpreso dell’invito ricevuto – a fine 2013 – dal Vaticano di realizzare un film sul cardinale di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio diventato a sorpresa il 266° pontefice della Chiesa Cattolica; nonché il primo proveniente dalle Americhe e dall’emisfero sud, e il primo ad aver scelto il nome di Francesco. Quasi un programma del suo ministero papale, fin dall’inizio rivolto ai poveri e alla povertà della Chiesa. Dunque, l’invito vaticano – nella persona di monsignor Dario Viganò, all’epoca prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede – sorprese il regista tedesco. Che accettò, anche per le condizioni molto aperte del “mandato”: totale libertà e accesso senza restrizioni al vasto archivio vaticano di materiale televisivo.
E di questa ricchezza di materiali (nonché dei mezzi della produzione americana) Wenders ha fatto buon uso: vediamo papa Francesco in giro per il mondo, in tanti incontri pubblici: al Congresso americano, a Ground Zero e presso lo Yad Vashem, con i Cardinali, in incontri bilaterali con capi di Stato o esponenti di altre religioni, ma anche in udienze affollate con famiglie e fedeli o negli incontri con malati e carcerati. Sono i momenti più belli, gli incontri con i bambini – con la loro stupefacente libertà – e con i carcerati che lo guardano in un modo commovente (e cantano per lui); o durante la lavanda di piedi pasquale a stranieri e diseredati di ogni tipo. In quelle scene si vede il grande carisma del Pontefice, il suo sguardo verso gli ultimi (colpiscono i toni con cui parla della tragedia di non avere lavoro), l’entusiasmo che genera (l’incontro con le famiglie, con battute anche esilaranti…), la commozione di chi si sente guardato e abbracciato in questo modo. Il Cristianesimo incarnato, insomma.
Papa Francesco – Un uomo di parola, che non è un documentario classico ma più «un viaggio in compagnia di papa Francesco», è però anche pieno di discorsi e interviste in cui si fa seguire con più difficoltà. I temi sono tanti e interessanti, a volte coinvolgenti – con toni quasi profetici il Papa attacca senza sconti l’egoismo del mondo e anche le miserie di tanta parte della Chiesa e dei cristiani – ma talvolta fa capolino il rischio di pensare che le parole siano l’aspetto più importante; senza contare che il coinvolgimento emotivo dello spettatore cala parecchio. Soprattutto le interviste faccia a faccia sono onestamente meno interessanti, anche se sono la novità di un film in cui papa Francesco si è “consegnato” totalmente a Wenders. Ma ci si chiede anche se, della sua totale libertà, il regista tedesco abbia sempre fatto buon uso: di tante ore di conversazione cosa avrà voluto salvare (alcuni brani sembrano, alla fine, un po’ monotematici), così come di tanti momenti pubblici? E onestamente troviamo fin troppo facile la scena in cui, mentre il Papa elenca i rischi spiritualmente mortali per chi ha potere nella Chiesa, la macchina da presa indugia sui volti di alcuni cardinali, quasi a volerli mettere in difficoltà… Di quelle immagini, probabilmente di repertorio, cosa si sarà scelto di tenere?
Il valore del film, però, si impone comunque alla fine nel mettere in primo piano papa Francesco. Magari come uomo più che come successore di Pietro e vicario di Cristo. Ma fa pensare che un grande regista (non cattolico) come Wenders abbia deciso di fare un passo indietro – anche a rischio, in vari momenti del film, di nascondere il suo stile: altri suoi documentari erano artisticamente migliori, si pensi a Buena Vista Social Club o a Il sale della terra – per mettere in luce solo il Papa, quasi magnetizzato dalla sua persona e dalle sue parole (l’esaltazione della libertà, anche di rifiutare l’amore di Dio, è commovente). E se c’è il rischio di distaccare tale figura dalla Chiesa, come se il pontefice fosse un eroe solitario che cerca di rinnovare con coraggio un’istituzione vecchia, colpisce questa grande umiltà dell’autore. E la sua ammirazione per Francesco, che interroga profondamente.
Antonio Autieri