Distribuito in America dalla piattaforma Hulu e presentato in Italia alla Festa del Cinema di Roma, Palm Springs (di cui il titolo italiano rivela un po’ troppo il segreto, mentre il film parte astutamente in medias res) inizia come una versione contemporanea di Quattro matrimoni e un funerale per virare presto nella direzione di Ricomincio da capo.

Qui ad essere imprigionato in un giorno che si ripete eternamente, quello del matrimonio di una coppia di amici, è Nyles (Andy Samberg), giovanotto un po’ cinico e disilluso (anche se con qualche giustificazione, scopriremo poi). Come stanno le cose il pubblico lo capisce solo dopo che Nyles, con invidiabile savoir faire, ha salvato Sarah (Cristin Milioti), la sorella della sposa e damigella deputata, da una pessima figura, per poi portarsela in un romantico tête-à-tête nel deserto… Alla fine del quale Sarah si ritrova prigioniera come lui e comprensibilmente scossa e infuriata.

La ripetizione infinita, se all’inizio porta con sé l’ebbrezza di una libertà di azione senza conseguenze, ben presto mette davanti alla mancanza di senso del proprio agire: se il passato e il futuro non contano nulla perché comportarsi bene? Come dare valore a qualcosa? E come è possibile creare un legame significativo con qualcuno che non siamo certi di conoscere? Eppure è proprio a questo che ogni essere umano, lanciato nell’imprevedibilità (o al contrario nella prigione della ripetizione) anela più di ogni altra cosa. Una sfida che i due protagonisti affrontano con diversi e inaspettati esiti.

Siamo dalle parti del mitico e citatissimo “giorno della marmotta” con gli abiti da sposa, ma il confronto tra Nyles e Sarah (che affronta quel particolare giorno con il peso di una scelta sbagliata) porta la commedia nel territorio della riflessione esistenziale post moderna. Anche perché se Nyles ha ormai metabolizzato le regole del gioco (compreso le periodiche morti che gli tocca subire da Roy, un altro ospite che ha inavvertitamente imprigionato nel loop e che gliel’ha giurata), Sarah è decisa a uscirne a tutti i costi.
Se una trentina di anni fa, ai tempi della commedia con Bill Murray, per guadagnarsi la libertà bastava una maturazione interiore e un cambiamento morale, in questo loop contemporaneo e relativista conta di più imparare qualche rudimento di fisica e sperare che le cose vadano bene.

Il regista Max Barbakow e il suo sceneggiatore (il quasi esordiente Andy Siara) puntano su un pubblico cinefilo, capace di riconoscere le “regole di ingaggio” dei paradossi temporali per averle viste in decine di altre pellicole e, glissando sui paradossi fisici astrusi “à la Nolan”, scelgono la strada della riflessione esistenziale post-moderna sul bisogno di senso e di connessione umana, capace di superare il nichilismo cui la situazione sembrerebbe condannare inevitabilmente i protagonisti.

I meccanismi sono quelli della commedia romantica, ma il film non si fa mancare anche una serie di gag slapstick più o meno azzeccate e grevi (in un mondo dove non esistono le conseguenze anche il sesso può diventare un gioco senza rischi e valore), dove gioca un piccolo ma essenziale ruolo anche un attore di gran classe come J.K. Simmons, capace di regalare al personaggio di Roy un’inaspettata autorevolezza.
I due protagonisti, con una solida carriera televisiva alle spalle, si inseriscono con agio nella loro parte, riuscendo a trasmettere attraverso piccoli gesti e variazioni l’evolversi dei loro personaggi, anche attraverso una serie di situazioni insieme identiche e via via più surreali man mano che il pubblico inizia a conoscerne i segreti sotto la superficie iniziale.

Laura Cotta Ramosino