In un normalissimo quartiere della Roma del 1976 il giovane Valerio vive una quotidianità spensierata nella venerazione del padre Alfonso, vicequestore per la città di Roma e responsabile dei servizi antiterrorismo per l’intera regione del Lazio. Quando una mattina il padre rimane ferito in un attentato organizzato dai militanti delle Brigate Rosse, Valerio vede la sua vita sconvolta da un trauma impossibile da elaborare. Una volta rimesso Alfonso gli equilibri famigliari paiono ristabiliti, ma la crepa causata dai fatti lascerà nei protagonisti ferite difficili da rimarginare.

In concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2020, Padrenostro di Claudio Noce è un film dalle forti tinte autobiografiche e insieme ritratto di un’epoca storica complessa come solo quella degli anni di piombo ha saputo esserlo. L’Alfonso Noce idolatrato dal piccolo protagonista è in effetti il padre del regista, il quale nel costruire la sua narrazione non svirgola mai verso patetismi o autocompiacimenti, interessandosi piuttosto a raccontare con sobrietà la forza morale di un uomo combattuto tra il proprio senso del dovere e la paura per l’incolumità propria e della sua famiglia. Insieme al ritratto dell’uomo di legge emerge però anche il fortissimo rapporto con il figlio, la cui prospettiva viene esplorata con un’incredibile cura del reparto tecnico, dalla regia alla fotografia: riprese dal basso, inquadrature che proiettano lo sguardo adorante del bambino sul padre, tutto mira a far raggiungere la percezione di un legame tanto indissolubile quanto precario con una figura paterna forte e totalmente positiva.

Se il rapporto tra Alfonso e il piccolo Valerio è fatto da teneri sguardi e poche, significative parole, altro tono domina la relazione tra il bambino e uno speciale amico di nome Christian, sbucato dal nulla e attorniato da un’aura di mistero che lo seguirà per tutto il film. La sua origine e il suo scopo sono sconosciuti, e scatenano una tensione conoscitiva, tanto nello spettatore quanto nei protagonisti, che durerà fino alla fine. Le ipotesi sulle sue reali intenzioni si sprecano, e proprio a causa di ciò la parabola narrativa, soprattutto nella seconda parte del film, rischia di risultare poco coesa e talvolta confusa o lacunosa. Nonostante le pecche nella struttura della sceneggiatura e qualche momento eccessivamente lirico, Padrenostro vince per la tenerezza e la delicatezza con cui riesce ad affrontare la tematica della paternità e a esplorare la condizione di chi trovandosi piccolo e impotente – figlio, in tutti i sensi del termine – vive in un’ammirazione totale verso la figura paterna, una certezza intaccata paurosamente dalla possibilità che l’imponderabile, cioè la morte, possa trovarsi lì dietro l’angolo. Le fenomenali interpretazioni degli attori protagonisti (Favino su tutti – vincitore della Coppa Volpi per l’interpretazione -, ma anche i giovanissimi Mattia Geraci e Francesco Gheghi, già visto in Mio fratello rincorre i dinosauri) valorizzano la già meticolosa costruzione dei personaggi e donano quel tocco di profondità emozionale che non potrà lasciare il pubblico indifferente.

Letizia Cilea