Il primo film dell’Afghanistan liberato dai Talebani non è su Bin Laden, come il titolo farebbe pensare, ma su una bambina di dodici anni (una storia vera, anche se un po’ romanzata). Orfana di padre, viene travestita da maschietto da nonna e mamma, poverissime e terrorizzate dai Talebani imperanti, che gettano in schiavitù donne di ogni età per qualsiasi motivo, compresa la folle idea di lavorare. Da maschietto, potrà almeno lavorare e portare a casa qualche soldo. Ma dopo pochi giorni verrà catturata dai Talebani, per imparare a combattere e sarà presto scoperta…

Dichiaratamente dalla parte delle donne afghane, di cui vengono mostrati i soprusi subiti, il film di Siddiq Barmak vale più come onesto e civile atto di denuncia che come opera cinematografica suggestiva e del tutto riuscita: la messa in scena è piuttosto piatta, e la povertà dell’impresa – pur evidente e comprensibile – non basta a giustificare la scarsa creatività: gli ultimi tre lustri di cinema iraniano ci hanno insegnato che spesso dalla povertà di mezzi discende una grande felicità artistica (e qualche tocco poetico qua e là sembra forzato e goffo). Anche il confronto con Viaggio a Kandahar lo vedrebbe sconfitto. Eppure il vincitore del Golden Globe come miglior film straniero merita attenzione, per la dura condanna di uno dei peggiori regimi che la storia contemporanea abbia conosciuto.