Tre amici, tre persone normali. Anche con molti limiti, fin dall’infanzia, quando si conobbero a scuola accomunati da problemi con insegnanti e autorità scolastiche. Con vite che prendono in seguito direzioni diverse ma sempre accomunate da un legame tra loro. E poi un viaggio che diventa occasione per fare finalmente qualcosa di importante, per gli altri. È la storia, vera, dei tre giovani americani che nell’agosto 2015 sventarono un’azione terroristica sul treno da Amsterdam a Parigi che il grande Clint Eastwood ha voluto portare sullo schermo, partendo dalla loro autobiografia The 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three American Heroes scritta insieme al giornalista Jeffrey Stern. La particolarità del film è che Eastwood ha scelto i tre giovani per interpretare se stessi, in modo da rendere veritiero tutto il racconto. Così, dopo le loro “gesta” infantili (poco eroiche, ma a tratti divertenti), li vediamo poco più che ventenni in cerca di realizzazione sul lavoro o, due di loro, nell’esercito; percorso che procura più frustrazioni che soddisfazioni in Alek Skarlatos e soprattutto Spencer Stone, il meno sveglio (apparentemente) dei tre ma anche il più determinato nel rendere la sua vita qualcosa di utile agli altri (scegliendo come “programma” la preghiera di san Francesco: « Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace…»). Mentre Anthony Sadler sembra un giovane indolente trascinato dagli eventi.
Non sembra per nulla un film di Clint Eastwood, Ore 15:17 – Attacco al treno. Che, anzi, a tratti ricorda più un B-movie televisivo realizzato con pochi mezzi. Il fatto di scegliere i tre veri protagonisti, per la prima volta utilizzati come attori, non aiuta una resa drammaturgica che è quasi sempre spenta e senza pathos; ma procura a questo “istant movie” – e i fatti sono forse ancora troppo recenti per poterli “mitizzare” – una curiosa freschezza, forse più da docufiction che da vero film, ma con una sincerità che intriga. Ma ci sono troppi cambi di tono (inizia come un film scolastico per bambini, poi si passa al film militaresco con le classiche scene di “istruzione fisica”, alla commedia giovanile con inserto di viaggio di formazione per poi arrivare nel finale all’action classico) e pure passaggi molto bruschi (nel viaggio in Europa, Italia compresa, quando inizialmente uno dei tre è con la ragazza in Germania e il film li segue in parallelo), con sparizione improvvisa di personaggi femminili e anche scene francamente poco significative – personalmente, bandiremmo per sempre le scene in discoteca dai film, in genere noiose e inutili – in un’opera peraltro abbastanza breve. Con il risultato che si amplifica l’attesa dell’assalto sventato, che pure è molto meno emozionante del previsto (forse per eccesso di fedeltà ai dettagli reali). Il discorso di ringraziamento dell’allora presidente francese Hollande smorza ulteriormente il pathos…

È davvero un oggetto curioso, questo film. E sicuramente pone questioni serie (il desiderio di fare qualcosa di grande e di utile per gli altri, l’eroismo delle persone “normali”, la capacità di agire nel momento giusto). A Eastwood deve essere sicuramente piaciuta la possibilità di inserire altre persone normali, dopo Sully, nella galleria dei suoi eroi comuni. Ma se in quel gran film la “l’eroismo antiretorico” si univa a grandi qualità cinematografiche (a cominciare da un grande interprete come Tom Hanks), qui è proprio il cinema a latitare. E paradossalmente il finale passa dalla sincerità “religiosa” del protagonista a scene di repertorio un po’ “inerti” e retoriche al tempo stesso. Poco male: a un gigante come Clint un mezzo passo falso glielo si può concedere senza problemi.

Antonio Autieri