Sesto film di James Wan, il regista australiano autore del primo Saw e, soprattutto, di Insidious e dello splendido L'evocazione – The Conjuring . Vale la pena spendere due parole su questo regista nato in Malesia da etnia cinese e cresciuto in Australia. Giovanissimo (è del 1977) esplode nel 2004 con un esordio folgorante come Saw, horror terribile e durissimo, assai nichilista e spietato che cambia le regole del genere negli anni 00. È un successo planetario che avrà ben sei seguiti tutti prodotti da Wan. Incassi a sei cifre che permettono al giovane regista di intraprendere una carriera più personale segnata da tanti medi e buoni film horror che, diversamente proprio dal film che tanto successo gli diede, sono girati secondo uno stile e una narrazione decisamente classica. È il caso anche di questo sequel di Insidious, più efficace ancora e interessante dell'episodio apripista uscito nel 2010. Il prologo ci immerge da subito nella vicenda, appena prima del titolo di testa disegnato in un inquietante rosso sangue. Siamo negli anni 80 e in una casa borghese viene invitata una medium per aiutare, attraverso l'ipnosi, un ragazzino vittima di una oscura presenza. Il ragazzino è Joss che, poco dopo, con un salto di quasi trent'anni, ritroviamo impersonato da Patrick Wilson a capo di una famiglia composta da tre figli piccoli e dalla moglie (Rose Byrne). Si fa anche spesso vedere in casa la nonna, la mamma di lui (interpretata da una grande Barbara Hershey). Poi la svolta: strane presenze accadono in casa e sembrano tutte prendere di mira i bambini; la Byrne si preoccupa e chiama la polizia che non può certo aiutarla. Non rimane allora che ricorrere alla medium di quell'episodio di tanto tempo prima, ormai piuttosto avanti con gli anni. Storia risaputa e classica per il genere, trattamento e messinscena di gran classe. Wan confeziona un gran bel prodotto, ricorrendo a un modo di far cinema che sembrava scomparso e costituito da movimenti della macchina da presa fluidi ed efficaci come i numerosi carrelli che si possono notare nelle sequenze preparatorie alle svolte; scenografia e fotografie curatissime e che omaggiano nel gioco di luci e negli ambienti claustrofobici e ovattati lo Shining di Kubrick ma anche tanto cinema di genere degli anni 70, Argento e l'immancabile L'esorcista. Wan, cioè, per sopperire a una vicenda che per gli amanti del genere risulterà un po' prevedibile, utilizza tutti i vecchi arnesi del cinema di genere come già mostrato nel più compatto L'evocazione – The Conjuring con cui Insidious ha parecchi punti in comune: la gestione della suspense attraverso l'uso degli oggetti come nella sequenza assai riuscita dell'abitazione della medium, sovraccarica di simboli e oggetti più o meno malefici; il lavoro notevole fatto sulla colonna sonora e sui rumori fuori e dentro la scena; un realismo della messinscena che va a braccetto con una caratterizzazione non banale dei personaggi in campo. Molto bene da questo punto di vista il lavoro compiuto dallo sceneggiatore Leigh Whannell sulle figure delle tre donne protagoniste, la medium interpretata da Lin Shaye e dalla coppia Byrne-Hershey impegnate in una dura lotta per la salvezza e l'unità della famiglia contro un nemico oscuro e nascosto; meno efficace quello svolto intorno alla figura di Wilson, la cui ambiguità è sciolta forse troppo presto nella narrazione. In ogni caso: tante belle svolte e trovate di sceneggiatura, dal gioco del telefono senza fili che purtroppo diventa ben altro a un certo punto della vicenda agli improvvisi e stranianti cambi di stile e registro in termini di realismo scenico (in questo caso c'è lo zampino di Oren Peli, il regista di Paranormal Activity e qui produttore). Un horror con qualche piccola caduta ma di grande eleganza e che conferma James Wan, assieme a Rob Zombie e pochi altri, uno dei registi di genere più talentuosi degli ultimi anni.,Simone Fortunato