Buon horror diretto con mano sicura (e qualche virtuosismo di troppo) da Mike Flanaghan che lavora su un suo cortometraggio del 2006, da lui sceneggiato assieme a Jeff Seidman. ,Si inizia dalle parti dell'horror classico della paranoia e del disturbo mentale. Appena uscito da una sorta di manicomio, il giovane Tim ritrova Kaylie, la sorella, anni dopo un terribile fatto di sangue che li ha visti coinvolti. Flanaghan, sin dalle prime sequenze, se la cava bene da un punto di vista narrativo, articolando il discorso su due linee temporali differenti: il passato dei due protagonisti bambini alle prese con disturbi sempre più gravi di mamma e papà, e un presente segnato dall'ossessione di Kaylie verso uno specchio antico che lei crede essere alla base di tanti omicidi del passato. Si gioca a carte coperte: per un bel pezzo, lo spettatore avverte che nulla di buono accadrà ma, di fatto, sulla scena poco accade. Nel passato, i due ragazzini prendono possesso assieme ai genitori di una casa nuova; nel presente, Kaylie ha architettato un piano perfetto e meticoloso che non lascia davvero nulla al caso, per comprovare la presenza di un'entità diabolica nello specchio. La vediamo allestire una stanza con telecamere puntate sullo specchio (una reminiscenza, nemmeno troppo velata, del sistema di sorveglianza di Paranormal Activity), sensori per misurare la temperatura, addirittura un'ascia gigantesca pronta, con un meccanismo preciso, a scagliarsi contro lo specchio e a distruggerlo in caso di necessità. Le cose però, ieri come oggi, andranno malissimo. ,Gran bell'horror, ricco di rimandi a tanti stili diversi del cinema dell'orrore più o meno recente. Il realismo ricostruito e freddo di Paranormal Activity da un lato, il trionfo del meccanismo crudele alla Saw dall'altro. Ma anche tanto cinema anni 70: quello che preferiamo, fatto di case infestate, efferatezze, in questo caso piuttosto contenute, messinscena precisa e grande attenzione a atmosfere, ambientazioni e oggetti. Da questo punto di vista Flanaghan pare avere recepito le lezione di uno dei registi horror più validi dell'ultima generazione, il James Wan di Saw, Insidious, The Conjuring: far parlare gli oggetti e le immagini più forse che gli attori stessi. Ecco allora, almeno una grande sequenza di paura, quella della mela addentata dalla protagonista in uno dei momenti chiave del film, sequenza che convive assieme a tanti buoni momenti di suspense e sorpresa. In più, l'idea di girare tutto il film o quasi all'interno di quattro mura di una casa con solo quattro attori o poco più alle prese con uno specchio di cui, man mano andiamo avanti nel seguire il film, sappiamo sempre meno, e che carica il film di un valore simbolico forte. Lo specchio, infatti, restituisce un'immagine che è oggettivamente falsa. E qui lo diventa ancora di più alimentando un gioco diabolico del gatto col topo e distruggendo, con il passare dei minuti, le certezze dei protagonisti e anche le attese degli spettatori il cui punto di vista coincide totalmente con quello dei due fratelli. Cosa quindi è vero o falso, ci si chiederà con una certa ansia, in tanti momenti di un film spiazzante in cui i contorni della realtà e le certezze della psicanalisi e della medicina che negli anni avevano ricostruito la personalità di Tim, si fanno sempre meno chiari, piegati dalla presenza di un Male insito nella Storia che sembra replicarsi di generazione in generazione. Visivamente assai curato, efficace nelle svolte e mai fastidiosamente gratuito nelle scene cruente, Oculus è innanzitutto buon intrattenimento che si staglia nettamente rispetto alla produzione horror sciatta delle ultime stagioni ma soprattutto è un film teorico, di pura regia, sul potere del cinema. Ua sorta di altro specchio che modifica arbitrariamente la realtà, un mezzo capace come pochi altri di far leva sulle nostre paure nascoste, sul nostro inconscio, sulla nostra fragilità.,Simone Fortunato

Oculus – Il Riflesso del male
Un fratello e una sorella alle prese con uno specchio maledetto.,