Maddy (Amandla Stenberg) è una ragazza diciassettenne affetta da una grave forma di immunodeficienza e costretta a vivere reclusa in casa, senza contatti relazionali al di fuori della mamma medico e di un’infermiera amica con figlia al seguito. L’arrivo di una nuova famiglia nel vicinato, nella persona del giovane Olly (Nick Robinson), le farà scoprire l’amore e l’urgenza di viverlo indipendentemente dalla malattia.
Sulla scia letterario-cinematografica del filone “Sick-Lit ” che ci ha già regalato Colpa delle stelle, la regista Stella Meghie attinge per Noi siamo tutto al best seller di Nicola Yoon per rinnovare l’incanto dell’amore che va oltre l’ostacolo della malattia. Impresa che non le riesce del tutto, nonostante le premesse accattivanti. Il film ha alcuni pregi, su tutti la bellezza dei due protagonisti opposti cromaticamente (lei, nera, vestita con colori pastello e lui, bianco pallido, vestito di nero), poi le scelte scenografiche (dalla casa asettica e creativa alle mitiche Hawaii), nonché i dialoghi a distanza tra i due innamorati trasportati dal cellulare in un mondo surreale (con il valore aggiunto e non meglio definito di un silenzioso astronauta che verosimilmente sta a dire come Maddy si senta di fronte al mondo).
È proprio su Maddy che si punta la lente di ingrandimento: un personaggio solare e aperto a dispetto della sua condizione, che sogna di fare l’architetto e realizza plastici, naviga in Internet e ama il mare senza mai aver visto un’onda dal vivo. Il problema è che non viene approfondito nessuno degli altri personaggi, che sono solo leggermente abbozzati: la mamma di Maddy, con il suo vissuto drammatico (sarebbero stati utili dei flashback); la famiglia di Olly, con un padre problematico che si intravede soltanto e una sorella che appare solo per pochi istanti; l’infermiera amica… Niente viene approfondito quel tanto che sarebbe bastato per toccare le corde dell’anima e farle vibrare di emozione e commozione. Tutto è lasciato in superficie e affidato solo alle premesse. E anche il finale risulta frettoloso, rinunciando anche ai dialoghi in momenti in cui si sarebbe potuto dare maggiore spessore, come l’incontro ultimo con l’infermiera e il rapporto con la madre, risolto fin troppo in fretta solo nel pensiero di Maddy. Peccato, perché bastava qualche attenzione in più per rendere buono un film che alla fine risulta ben fatto ma un po’ deludente.
Lorella Franchetti