Per questo film, su cui ci sono pareri molto discordanti tra di noi, due differenti recensioni.,Perché SI,Visivamente affascinante (anche se forse il 3D non è un elemento essenziale), ricco di idee e suggestioni, l’ultimo film di Darren Aronofsky, ancor più delle sue opere di nicchia, è destinato a creare polemiche e controversie e non solo tra i credenti. Fantasy catastrofista di impronta ambientalista, riflessione sulla natura violenta e omicida, parabola visionaria su giustizia e misericordia divina: Noah è tutte queste cose assieme e certamente si tratta di un’interpretazione molto personale della vicenda biblica, raccontata in pochi scarni capitoli della Genesi. Chiunque si aspetti una puntuale rappresentazione del dettato biblico (del resto forse troppo esile per costituire da sola la base di un blockbuster da più di due ore) rimarrà deluso. Eppure forse sottovaluta l’autore che ha di fronte…,Sul dato biblico, infatti, Aronofsky e l’abituale collaboratore Ari Hendel ricamano un racconto molto ampio e articolato, certamente pescando tra le proprie personali ossessioni e nell’immaginario cinematografico fantasy recente, ma anche arricchendo il tessuto narrativo di personaggi e situazioni sia dell’Antico Testamento (Abramo e il suo sacrificio, Giona, gli angeli caduti, i Salmi) che del Vangelo. Il Noah di Aronofsky è un uomo giusto, che vive nel rispetto delle leggi del Creatore. Leggi che nella visione del regista si traducono essenzialmente nel rifiuto di consumare carne (che, implicando l’uccisione di altri esseri viventi, diviene quasi tout court l’espressione del peccato originale) e nell’uso non consumistico delle risorse naturali. Uno stile di vita essenziale in totale opposizione con quella dei discendenti di Caino, guidati dal violento Tubal-Cain (nemesi e specchio del protagonista); uomini che, con la loro brama distruttiva, rivolta oltre che sugli innocenti animali, anche verso i propri simili, nel volgere di dieci generazioni dalla caduta hanno trasformato la terra in un deserto (sono i territori selvaggi ed estremi dell’Islanda che fanno da “controfigura” per il Medio Oriente del racconto biblico).,Una contrapposizione, quella tra Noah e il resto dell’umanità, inizialmente un po’ manichea, una rappresentazione che in alcuni momenti rischia di generare un senso di ridicolo o di fastidio (il “vegano” Noah ritiene più grave che il figlio strappi un fiore rispetto al suo uccidere, sebbene per difesa, tre uomini), ma che è destinata nello svolgersi della storia a sfumare e divenire assai più complessa. La visione stessa di Noah, fedele servitore del Creatore, di cui si forza di comprendere i segnali e seguire la volontà, è destinata alla prova, sicché l’iniziale alternativa tra l’appartenenza obbediente al Creatore e la libertà umana totalmente autodeterminata si rivela inadeguata. Dimostrando una certa coerenza con le tematiche ricorrenti delle sue precedenti pellicole, Aronofsky ci presenta un Noah che col procedere della storia, si indurisce e trasforma la missione ricevuta da Dio in un’ossessione, una figura che poco ha che vedere con il patriarca distratto che si dimentica i liocorni fuori dall’arca. Noah finisce, sull’onda del disgusto per una violenza che sente ormai anche come propria, per ergersi a sua volta a giudice più duro del Creatore stesso, ipotizzando un mondo puro e “libero” dall’errore umano. ,Significativo il modo in cui, mentre si trovano all’interno dell’Arca nel mondo ormai sommerso, il patriarca ri-racconta alla famiglia la storia della creazione, rappresentata con un montaggio suggestivo, che fonde con intelligenza creazionismo ed evoluzionismo, anche se non raggiunge le altezze sublimi dell’excursus cosmologico di The Tree of Life di Terrence Malick. Il punto d’arrivo inaspettato di tutta la storia, tra colpi di scena di variabile efficacia e qualche scivolone di ridicolo involontario nella descrizione dei rapporti familiari, è tuttavia la rivelazione del volto di Dio non solo come colui che giustamente castiga, ma che è anche capace di usare misericordia e parla all’uomo non solo attraverso i miracoli e le visioni apocalittiche, ma anche attraverso ciò che è inscritto nel suo cuore. Entrambi i “messaggi”, in ogni caso, interrogano sempre la libertà umana, non la sostituiscono. Aronofsky non ha la profondità filosofica di Malick e talora appare troppo infervorato per essere lucido. Eppure sarebbe un peccato che un’opera come questa – ardita quanto imperfetta – fosse ridotta a una favola ambientalista antiumanistica senza nemmeno il beneficio della visione.,Laura Cotta Ramosino,Perché NO,Il kolossal storico/religioso che fece grande il cinema nei primi anni del secolo scorso torna a tentare di nuovo registi e produttori (vedi anche il recente Pompei), ma in questo caso le attinenze con la Genesi biblica si fermano al titolo del film. La fedeltà alla Bibbia dura sì e no un minuto emmezzo, quando nel raccontare l’origine del mondo vanno in scena i Vigilanti, angeli di luce che vollero difendere l’uomo dopo la cacciata dall’Eden, e per questo trasformati dal Creatore (la parola “Dio” non viene mai pronunciata) in mostri di roccia. Se i discendenti di Caino trasformarono pian piano il mondo in un luogo corrotto e perverso, gli ultimi superstiti del meno noto fratello Seth continuano a lottare per restare in vita e preservare l’integrità dell’uomo. Il tutto in un mondo arido e desolato che strizza l’occhio per ambientazione e costumi al cyber punk, più in zona Mad Max che The Passion, mixando il tutto con elementi fantasy ed efferatezze in scia alla serie tv Game of Thrones. Ma non vale la pena stracciarsi le vesti per l’eccessivo distacco dal testo sacro, talmente smaccato da dare l’idea di non averci nemmeno provato. I difetti più evidenti sono quelli prettamente cinematografici: la storia procede tiepida con la presa di coscienza di Noè (un Russell Crowe imbolsito e barbuto) della necessità di costruire l’arca per salvare famiglia e animali, il tutto tra dubbi e tormenti, fugati da un Matusalemme che ricorda tanto Gandalf. E se l’imminente diluvio non fosse sufficiente, a complicare la vita a Noè ecco comparire i discendenti di Caino per tentare l’assalto all’arca, in una scena di guerra action con pochi sussulti. Poi tuoni, fulmini e pioggia a catinelle, anche se a fare acqua da tutte le parti è la sceneggiatura: il capofamiglia capisce che nel nuovo Paradiso Terrestre che andrà a fondare non c’è spazio per l’uomo che inevitabilmente lo corromperebbe ancora, e comunica dunque alla prole che il loro destino è quello di scomparire, lasciando la Terra alle innocenti bestie. Il delirio ecologista viene per fortuna arginato assieme alla follia di Noè, che rinsavisce capendo che l’amore dell’uomo per i suoi simili può ancora salvarli. In un diluvio di retorica viene a galla una morale che non è da buttare: il dono più prezioso di Dio all’uomo è la liberta di scegliere il bene, che anche nei momenti peggiori può redimerlo e portare a nuova vita. Un concetto che rischia di naufragare in oltre due ore di film d’azione epico/catastrofico con un 3D piuttosto rozzo e rare sequenze veramente emozionanti.,Pietro Sincich