Un lungo e spettacolare teaser ambientato a Matera dà ragione della pensione dorata in cui poco dopo troviamo l’ex spia al servizio di Sua Maestà, deciso a non farsi coinvolgere in nuove missioni, nemmeno se a chiamarlo è il vecchio amico della CIA Felix Leiter (Jeffrey Wright). Durerà poco, naturalmente, perché di mezzo c’è l’arcinemico di Bond, Bloofield (Christoph Waltz), capo della Spectre che sembra poter far danni anche dall’interno di una cella di massima sicurezza, ma anche perché a rischiare è l’intera umanità a causa di un’arma biologica sfuggita di mano, e ora a disposizione di un misterioso villain dal volto sfigurato. Per sconfiggerlo e salvare i suoi affetti più cari, Bond dovrà dimostrare che nonostante l’età è sempre il più tosto in circolazione…
Ultima avventura dello 007 di Daniel Craig, ecco finalmente No Time to Die: esce infatti dopo oltre un anno di attesa causa Covid il film più atteso (e più lungo) della saga dedicata alla spia solitaria e irresistibile. C’è stato il tempo per far dare alla sceneggiatura una passata “brillante e femminista” dalla penna di Phoebe Waller-Bridge (la creatrice della serie Fleabag) e di rigirare alcuni passaggi per “aggiornamenti di tecnologia” (fondamentale da sempre nei film di Bond) e soprattutto di attendere il momento migliore per un’uscita in sala, che per una pellicola come questa era davvero dovuta.
Nonostante la regia sapiente di Cary Joji Fukunaga (il regista di True Detective), non è il migliore Bond di Craig (per chi scrive il podio è da riservare al magnifico Skyfall, seguito dall’inaugurale Casino Royal), ma il film ha comunque tutti gli ingredienti per piacere; ed effettivamente le oltre due ore e mezza non pesano, tra colpi di scena e omaggi al passato come si conviene da una storia che è anche un lungo addio a un interprete e alla sua rilettura del personaggio di Fleming.
I temi del tradimento e della vendetta, già visti ma qui riletti e fatti risuonare su più di un personaggio, si intrecciano a quelli dell’ennesima minaccia mondiale (che qui, lo diciamo senza svelare troppo, ha un impatto “epidemico”) nata da un eccesso di spregiudicatezza a fin di bene… Del resto l’aria dei tempi si respira anche nel marcato senso di disillusione nei confronti delle istituzioni (l’M di Ralph Fiennes non è quella di Dame Judy Dench).
Le scene di azione (in cui entra in gioco anche un nuovo sorprendente 007 alternativo) sono ben coreografate (una nota di merito al ruolo piccolo, ma fondamentale di Ana De Armas in una tappa cubana) e divertenti, i colpi di scena non mancano e anche una bella dose di melò che si intreccia al finale esplosivo che non lascerà delusi gli appassionati. Ci si poteva aspettare forse qualcosa di più da Rami Malek, nei panni di un misterioso nemico le cui motivazioni alla fine dei conti non riservano grandi sorprese, ma Craig non delude e ci lascia un ottimo ricordo nei panni di un James Bond duro e romantico, spietato e leale.
Luisa Cotta Ramosino
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