Un bel biopic, questo di Richet. Innanzitutto, perché il giovane regista francese non si fa prendere troppo la mano: non mitizza né demonizza un personaggio naturalmente ambiguo come Mesrine, uno dei più noti banditi francesi degli anni ’60 e ’70. Semplicemente si limita a raccontarlo secondo uno stile visivo che richiama tanto cinema polar recente e passato, fino a Melville, e ovviamente tanto cinema noir e poliziesco americano. Dominato dalla figura imponente e grandiosa di Vincent Cassel, perfetto in un ruolo per cui sembra nato, il film di Richet ha almeno un paio di sequenze memorabili: la fuga alla maniera di Steve McQueen del protagonista con l’amante negli Usa, in una scena carica di riferimenti e echi cinematografici, e l’evasione rocambolesca di Mesrine e del suo socio dal carcere di massima sicurezza canadese, una scena girata con uno stile secco e con uso intelligente dello spazio e del tempo, così da accrescere la suspense che in effetti non manca. Peccato solo che i pezzi di bravura di Richet siano appunto solo pezzi: nella prima parte del film che – va ricordato, è distribuito maldestramente in due parti distinte L’istinto di morte e L’ora della fuga in uscita il 17 aprile – Richet parte molto forte raccontando in maniera truce l’Algeria occupata dai Francesi e promette molto ma, almeno nella parte di ambientazione francese e famigliare, non mantiene tutto: molti personaggi appaiono sprecati o abbandonati troppo frettolosamente (i genitori di Jacques); altre situazioni potenzialmente interessanti si perdono per strada (il matrimonio di Jacques e il rapporto coi figli e la famiglia). Persino il gangster interpretato da Depardieu appare alla fine poco incisivo e decisamente minore nell’economia narrativa. Così come, l’episodio del rapimento del ricco canadese è raccontata in modo troppo frettoloso per potersi appassionare. Come se volesse dire troppo in poco tempo – e sicuramente per le “imprese” di Mesrine si sarebbe potuto riempire non una ma tre sceneggiature per altrettanti film, Richet concentra la propria attenzione su Mesrine/Cassel attorno a cui effettivamente ruotano personaggi e storia, non si dimentica del contesto di riferimento (è suggestiva e ben fatta la ricostruzione d’epoca) ma alla fine, alla resa dei conti, lascia per strada pezzi di storia e di personaggi che potenzialmente avrebbero potuto dire e suggerire molto, molto di più. Meglio invece la seconda parte più movimentata e omogenea quando l’azione si sposta in Canada e il film dal tono mélò passa al thriller puro, contaminato da altri generi.,Simone Fortunato