Stessi difetti e pregi della prima parte. Da un lato, un grande ricostruzione d’ambiente giocata con intelligenza senza troppi sperperi: macchina da presa incollata sugli attori, poche comparse, pochi mezzi, ma il poco è ben curato. Lo stile di Richet, secco, senza fronzoli è una dichiarazione d’intenti e di poetica: si va a riprendere senza troppa enfasi il cinema di genere francese e italiano degli anni ’70, polar e poliziottesco, forse l’unico modo equilibrato per raccontare un personaggio tanto cinematografico quanto geniale come Jacques Mesrine, il cui ritratto è definito senza affettazione, idealismi di sorta e senza nemmeno censurare gli aspetti più crudeli, sadici, eccentrici. Alcune sequenze, anche in questa seconda parte, sono un grande omaggio a cinema di genere ormai scomparso da anni dai nostri cinema e sono dei piccoli pezzi di bravura di Richet: l’ennesima evasione dal carcere di massima sicurezza di Mesrine, pur nel solco dei tanti classici film carcerari (uno per tutti: Fuga da Alcatraz di Don Siegel) è anche un bel pezzo di cinema fatto con elementi della tradizione del thriller, montaggio e colonna sonora. Ma Nemico pubblico n°1 è anche altro: è un film di volti e di attori: splendido Vincent Cassel, davvero credibile nei panni di Mesrine, ma anche i comprimari sono di gran lusso, anche se forse un po’ sprecati e schiacciati dal carisma del protagonista. Non mancano però dei difetti: la materia da trattare nelle complessive quattro ore e passa delle due parti era effettivamente tanta, forse troppa. Forse la dimensione giusta per raccontare in maniera esaustiva sarebbe stata quella della miniserie, che però avrebbe avuto la controindicazione della dimensione dello schermo che avrebbe tolto epicità e grandezza all’epopea di Mesrine. Perché, davvero, Richet cerca di raccontare tutto, rimanendo con fedeltà e coerenza attaccato alla cronaca vera di quegli anni difficili per tutti, dominati dall’anarchia folle di Mesrine in Francia, dalla banda Baader Meinhof in Germania e dalla Brigate Rosse in Italia. Richet, ci prova, ma lascia indietro troppo: ellissi frequenti, personaggi che compaiono e scompaiono senza spiegazioni come i tanti complici e le tante donne di Mesrine testimoniano il problema di mettere per immagini una vita sin troppo spericolata e avventurose, ma anche forse la difficoltà in fase di sceneggiatura di selezionare il meglio e forse il più logico cinematograficamente parlando. ,Simone Fortunato