“E tu cosa fai per vivere?” chiede la ragazza timidamente al giovane elegante che le ha offerto da bere. “Rapino banche”, fa lui, con la massima naturalezza. Perché è proprio quello che faceva John Dillinger, classificato dall’FBI come il “Pericolo pubblico n. 1” negli Stati Uniti degli anni ’30. Dal giorno nel quale scappò dalla prigione fino alla sua morte (non molto, in verità poco più di un anno dopo), Dillinger non fece altro che rapinare, sparare e fuggire. Il regista Michael Mann non cerca di indorare la pillola, non si mette a scavare nella vita o nella psiche del rapinatore per mostrarlo come il prodotto di un’infanzia problematica o della società corrotta. Il Dillinger di Mann è un uomo di pura azione, un esecutore preciso, un leader per gli uomini della sua banda, uno che non si ferma davanti a niente, basta che abbia un arma in mano. Per tutto il resto, a parte la sua ragazza e qualche serata al cinema, dimostra scarsissimo interesse. Johnny Depp, che lo interpreta, finalmente si scrolla di dosso il costume da pirata, le smorfie e le manfrine dei suoi ultimi film e dimostra di essere un attore cui basta molto poco per catalizzare l’attenzione: un movimento appena accennato, un aggrottar di sopracciglia, un sorriso beffardo con la pistola fra le mani. Ma non pensate a un automa: il Dillinger di Depp non è un manichino alla Schwarzenegger, e ha scritto in faccia l’esito del continuo inseguimento delle forze dell’FBI, capeggiate dall’agente Melvin Purvis (Christian Bale). Non per questo si fermerà: lui è Dillinger, e rapina le banche anche se sa che gli costerà la vita.,Beppe Musicco