Nancy è una donna silenziosa, ossessionata da un blog, il suo, sul dolore e sulla perdita di un figlio. Convive con una mamma anziana, malata e aggressiva nelle parole e scostante nei modi. Non sorride mai, non si trucca mai e inventa bugie. Anche a chi potrebbe essere interessato a lei, a quello che lei è, a quello che potrebbe forse portare in grembo. Poi all’improvviso Nancy si ritrova da sola al mondo perché sua madre muore. Basta una testimonianza in televisione, quella di due genitori che non trovano la figlia da 30 anni, e Nancy si lancia. E se fosse lei la figlia perduta che cercano?
In Nancy, che è una sorprendente opera prima diretta da Christina Choe, vincitore di tanti premi internazionali tra cui quello per la sceneggiatura al Sundance Film Festival, si vive tutto il peso dell’indifferenza, della menzogna e della ricerca della verità. La Choe filma ossessivamente il viso di Nancy, interpretata da una bravissima Andrea Riseborough (già vista in indimenticabili film come Birdman, Animali notturni, e le serie Black Mirror e ZeroZeroZero). La sua macchina da presa si blocca sui suoi occhi chiari come a rivelarne un dubbio, una paura, un sentimento. Però non c’è alcuna rivelazione e lo spettatore non comprende mai cosa c’è nella testa e nel cuore di Nancy. Gli spazi angusti, bui e tetri, anche se non sempre interni, ma esterni, come possono essere un bar o un supermercato, sono in qualche modo specchio dell’anima di Nancy.
Quando Nancy si mette in macchina e si ritrova nella casa di quei genitori che sono alla ricerca disperata della figlia sparita, tutto diventa ancora più inquieto. C’è la neve, c’è la casa, c’è il giardino. Si respira un’aria diversa, che si fa strada anche nei dettagli di una casa arredata e accogliente come quella di Leo ed Ellen (Steve Buscemi e J. Smith-Cameron) e di un vestiario curato, pulito, ricercato. Eppure l’anima di Nancy rimane piena di buio. Sorride, forse, alla presenza del gatto che riesce a portare dentro quella villetta. Sente il freddo della neve e il calore di una coppia piena di amore, anche se piena di sofferenza. E in qualche modo Nancy oscilla tra diversi sentimenti: non sa cosa accettare delle persone che le sono davanti, che le hanno offerto una stanza, un letto e il loro tempo.
In questo film è difficile che lo spettatore riesca a formarsi un’idea precisa, chiara e evidente dei protagonisti. Scruta gli spazi, avverte la distanza emotiva e fisica, coglie solo l’impossibilità a formarsi un giudizio unico, diretto, semplice. La verità, con la sua zavorra e la sua ambiguità, coglie tutti impreparati. Chi è davvero Nancy? Basta solo un test del Dna per rivelarci la realtà? Da molti definito dramma psicologico, Nancy è davvero un film diverso, indipendente nella tecnica nella costruzione dei personaggi e dell’intreccio narrativo. La regia matura, anche se è un’opera prima, lega tutti alla storia che per soli 87 minuti inchioda mente e occhi allo schermo.
Emanuela Genovese