Titolo: Mustang (Id.)
Francia 2015 – 94′
Genere: Drammatico
Regia di: Deniz Gamze Ergüven
Cast principale: Günes Sensoy, Doga Zeynep Doguslu, Elit Iscan, Tugba Sunguroglu, Ilayda Akdogan
Tematiche: donne, dignità, maschilismo, giovinezza, libertà, matrimonio
Target: sopra i 16 anni
Cinque sorelle vivono chiuse in casa dalla nonna e dallo zio per evitare scandali dovuti alla loro esuberanza. Per poi combinare in fretta matrimoni per ognuna di loro.
Recensione
La Turchia di oggi vive profonde contraddizioni, tra modernità e arretratezza, tra voglia di avvicinarsi all’Occidente e preoccupanti cadute dovuto a un regime formalmente democratico ma con decise pulsioni autoritarie. E se è vero questo nelle grandi città, a cominciare da Istanbul, è immaginabile cosa avviene nella provincia. Come nel paesino sul mare dove è ambientato questo film dallo strano titolo: sono come dei “mustang”, cavalli selvaggi e ribelli, le cinque giovani sorelle orfane dei genitori, che vivono con la nonna e l’ambiguo zio. Un gioco di fine anno scolastico con coetanei maschi suscita la delazione di una vicina di casa e castighi e ritorsioni dai due parenti. Alle punizioni corporali seguono le umiliazioni (le verifiche della verginità), i divieti e la reclusione in casa. Goffa e comica (i vestiti dai colori orribili e senza forma), ma non meno inquietante. Poi la decisione di combinare matrimoni per ognuna di loro, così da evitare tentazioni e scandali: solo una riesce a imporre come sposo il ragazzo che ama, per le altre ci sono dei perfetti sconosciuti. Solo la più piccola Lale (è lei che racconta la storia), ancora bambina, vuole ribellarsi e tentare la fuga, cercando alleanze con le più grandi…
Premiato a Cannes in una sezione autonoma (la prestigiosa Quinzaine des Réalisateurs) e candidato dalla Francia per gli Oscar, il film è produttivamente francese ma turco per ambientazione, ispirazione, regia. Lo dirige la regista Deniz Gamze Ergüven, al suo primo film, con un’opera che ricorda un altro grande debutto, Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola. Là erano due genitori rigidi e tradizionalisti a segregare le figlie, qui i due parenti con una nonna più debole che cattiva (soprattutto nell’impedire i sordidi incontri notturni dello zio con le nipoti). Il contesto però è diverso, più politico (il tema della condizione della donna in Turchia è palese), mentre il tono ondeggia tra dramma e momenti più sorridenti. Non mancano infatti gli stratagemmi più ingegnosi per tentare di aggirare gli ostacoli e tentare fughe anche solo momentanee. Ma rimane l’angoscia e l’inquietudine per una dignità della donna soggiogata fino alla costrizione e alla violenza, dove l’anelito alla libertà comporta il rischio della tragedia. Ma tale desiderio può sempre tornare a prorompere, irrefrenabile: e se non per tutte andrà bene, il finale regala per fortuna una speranza, grazie all’incontro con un uomo ben diverso dallo zio e da tanti altri che quelle giovani donne erano abituate a frequentare.
Antonio Autieri