Mentre divampano gli scontri tra il regno di Francia e gli ugonotti, con il cardinal Mazzarino intento a sterminare gli eretici, la regina Anna (Margherita Buy) preoccupata per il dilagare della violenza va a cercare D’Artagnan per riunire i moschettieri e partecipare a una missione segreta. D’Artagnan però è in disarmo, barcamenandosi tra duelli senza onore e allevamento dei maiali. Ma l’amore per la sua regina può tutto: e così il prode moschettiere va a cercare i compagni d’arme Athos, Aramis e Porthos. Tutti con drammi, segreti e magagne varie, e con i segni del tempo che è passato. Athos è malato di sifilide e ha un debole per il sesso (di entrambi i generi), Aramis ha avuto una crisi di coscienza dopo tante uccisioni e si è chiuso in monastero (fuga anche dai suoi problemi economici, essendo pieno di debiti), Porthos è un locandiere ubriacone cui alcol e droghe sembrano aver bruciato il cervello. Con fatica, risponderanno alla chiamata per salvare la Francia dalle trame del Cardinale – in combutta con la pericolosa Milady – e dimostrare di esser ancora molto abili con la spada dopo vent’anni. Nel cammino troveranno intrighi, tradimenti e violenze, cui non si sottrarranno, ma anche validi aiuti (tra cui la dedizione di un servo muto) per combattere per la libertà dei perseguitati Ugonotti e per la salvezza del giovanissimo Luigi XIV.

L’operazione del film di Giovanni Veronesi sui celebri moschettieri di Francia, kolossal all’italiana in costume con grande cast, lascia perplessi sin dall’inizio: chi ricorda grandi film del passato non trova tanto il parallelo con opere sugli eroici personaggi di Dumas ma semmai intravvede L’armata Brancaleone di Mario Monicelli come possibile modello, pur lontano anni luce per comicità e finezza linguistica (ci vuole del metodo pure nel giocare con gli strafalcioni, che qui fanno ridere molto poco); ma ci sono rimandi anche a tanti altri film, di cappa e spada e non (i gadget in dotazione dei moschettieri come James Bond d’altri tempi, ma anche Non ci resta che piangere e perfino i Taviani di La notte di San Lorenzo nell’uscita di scena di un personaggio minore) e riferimenti anacronistici, tra un cavallo che si chiama Zizou (noto diminutivo dell’ex calciatore francese Zinedine Zidane), Mazzarino definito «sadico» da una regina che sembra molto ecumenica e rispettosa dei diritti delle minoranze religiose (peraltro gli ugonotti erano stati sconfitti dal predecessore, il cardinal Richelieu), un Athos “ambidestro” ovvero bisessuale («la mia morale non è consona ai tempi che viviamo») e battute sui supereroi… I suoi moschettieri sono invecchiati, malandati, cialtroni, litigiosi e anche un po’ cinici (ne fa le spese anche il celebre motto “Tutti per uno, uno per tutti”) ma generosi e ancora in gamba, nonostante tutto. Nel rappresentarli, Veronesi e il coscenggiatore Nicola Baldoni affidano al bravo Pierfrancesco Favino un D’Artagnan che parla uno strano e buffo (sulla carta) italofrancese sgrammaticato e ridicolo, all’inizio moderatamente divertente ma alla fine un po’ stancante, mentre gli altri parlano con cadenze dialettali (diverse…) italianissime, dal “romano” Porthos (Valerio Mastandrea) ai meridionali Athos (Rocco Papaleo) e Aramis (Sergio Rubini); anacronismi e stranezze che il finale giustifica e spiegare, in una cornice finale che però risulta più melensa e didascalica che suggestiva e tale da ribaltare davvero la prospettiva. La modernizzazione passa inoltre anche dalla colonna sonora, con “Prisencolinensinainciusol” di Adriano Celentano e le musiche dei Gratis Dinner (un trio di musicisti in cui fa capolino, a sorpresa, Luca Medici in arte Checco Zalone), cui si aggiunge sui titoli di coda “Moschettieri al chiaro di luna” di Paolo Conte; ma sempre nell’ottica dell’accumulo, dei fuochi d’artificio per stupire a tutti i costi ma senza un’ispirazione coerente di fondo.

Se la trama, con tanto di forzature politico-religiose, è debole, quel che convince meno è la violenza a tratti truce di una commedia d’avventura. Anche se è possibile che un pubblico di bocca buona decida di accontentarsi delle schermaglie tra i 4 (ex) amici e delle tante sottostorie proposte da numerosi personaggi di contorno, dall’ancella prosperosa facile alle gaffe e a stuzzicare D’Artagnan (Matilde Gioli) alla spregiudicata Milady (Giulia Bevilacqua), dal fedele servo muto (Lele Vannoli) al misterioso Cicognac che in realtà è una donna fan dei moschettieri fin da piccola (Valeria Solarino); ma è un calderone che aggiunge poco al tema centrale e affatica non poco. E se è apprezzabile il coraggio del ritorno a grandi progetti “fuori scala” rispetto agli standard consueti, il risultato è comunque solo un grande sfoggio di costumi, schieramento di attori (che sembrao divertirsi parecchio, ma non vuol dire che si diverta anche il pubblico), azioni più confuse che coreografiche e tante battute. Che però fanno ridere pochissimo, quasi mai; e questo è un errore imperdonabile per una commedia di tali ambizioni. Un po’ meglio del pasticcio Il mio West, in cui Veronesi dirigeva l’amico Pieraccioni insieme a Harvey Keitel e David Bowie; ma anche Moschettieri del re ci sembra complessivamente un’operazione poco riuscita. Che punta più sull’apparenza che sulla sostanza: quando tutti citano, nei punti di forza di un film, paesaggi (splendidi: è la Basilicata camuffata da Francia) mostrati in lungo e in largo, quasi a coprire la debolezza di intreccio e azione, qualche dubbio dovrebbe venire.

Antonio Autieri