Tratto da “The Little White Horse” della scrittrice per l’infanzia Elizabeth Goudge – libro improvvisamente assurto agli onori della cronaca perché ad esso J.K. Rowling dice di essersi ispirata per creare Harry Potter – Moonacre vuole essere una risposta europea ai tanti kolossal fantasy che battono bandiera statunitense. Bisogna dire che dopo un decennio di omaggi, citazioni, imitazioni e plagi, ripescaggi e riletture, il genere inizia a mostrare un po’ la corda. E poco importa che il libro da cui è tratto questo film sia stato pubblicato nel lontano 1946: senza che sia colpa di nessuno, Moonacre sente su di sé tutto il peso di quello che è stato scritto dopo: vederlo è come svuotare una vecchia gerla dimenticata da qualche Natale prima, in cui non manca niente che nel frattempo non sia stato già regalato.,Il racconto segue senza traumi e senza incertezze la vicenda della giovane eroina dapprima spaesata e che poi scopre di essere protagonista e destinataria di un’antica profezia, uno di quegli antichi vaticini che, a seconda di come vengono interpretati, possono portare la pace o la distruzione. Anche questa storia è stata raccontata milioni di volte e, se non è di per sé un reato ripercorrere in una narrazione strade già battute, è vero d’altra parte che chi non può puntare sull’originalità (nonostante la benedizione della Rowling) ha il dovere di cavare altre frecce dalla faretra. Il film invece, se sulle prime conquista nell’esplorazione di uno spazio sospeso tra fantasia e realtà (ricostruito con gusto delle location naturali tra foreste e castelli ungheresi), sulla distanza fa sentire il peso delle incertezze nella presentazione dei personaggi, con troppi singhiozzi di montaggio e l’indecisione fatale tra l’esitazione del fantastico e il ritmo dell’azione (con la colpa di trovarsi senza abbastanza capitali quando nel finale bisogna ricostruire una scena di grande suggestione e si è costretti a ricorrere agli effetti digitali). Una menzione agli attori, alla sempreverde Natascha McElhone (la cui bellezza turbata e pensierosa abbiamo visto meno volte del previsto al cinema dopo The Truman Show), Tim Curry che, ingrassato, invecchiato e barbuto, assomiglia ad Orson Welles e la grintosa, intraprendente e non più piccolissima Dakota Blue Richards: nelle scaramucce adolescenziali in cui sperimenta innocue crudeltà ai danni del ragazzo cotto di lei, pare qua e là di rivedere il temperamento e la determinazione della Jodie Foster degli inizi. Le auguriamo di fare altrettanta strada.,La cosa che più ci è piaciuta? Che tra inseguimenti nella foresta, maledizioni, duelli e trappole, il vero nemico da combattere – è quello che scoprono i personaggi – non è all’esterno ma all’interno e può essere sconfitto dopo aver accettato un cambiamento (e l’arco di maturazione dei personaggi è perfettamente coerente con le loro psicologie). Ed è bello vedere, finalmente in un film per ragazzi e per famiglie, dei cattivi a cui è concessa possibilità di ravvedimento senza che necessariamente crepino tra atroci sofferenze giustiziati dai buoni. Non potendo competere con i milioni di dollari e con gli effetti speciali, questa qui sì che è una bella risposta culturale dell’Europa all’America. ,Raffaele Chiarulli

Moonacre
Alla morte del padre, la tredicenne Maria viene affidata allo zio, l’ombroso e taciturno Benjamin Merryweather, proprietario del decadente feudo di Moonacre. Quale mistero si cela nelle stanze chiuse del castello? E come mai la favola raccontata nel libro ereditato dal padre contiene tanta analogie con la storia della famiglia?