Steve Harmon è un ragazzo di 17 anni di Harlem. Viene da una bella famiglia, è un bravo studente ed è appassionato di fotografia e cinema. Un giorno, però, viene arrestato con l’accusa di aver fatto da palo durante la rapina a un negozio finita con un omicidio. Durante il processo, viene additato dall’avvocato dell’accusa di essere un mostro da condannare. Sarà compito della sua legale far cambiare idea alla giuria del tribunale. Ma Steve è colpevole o innocente?

Arriva ora su Netflix Monster, il legal movie di Anthony Mandler presentato al Sundance Film Festival del 2018. Tratto dal romanzo del 1999 di Walter Dean Myers, vuole affrontare il tema dei pregiudizi del sistema giudiziario americano quando si trova di fronte come accusato un ragazzo di colore. Il problema è che, in questa epoca segnata dalle rivendicazioni antirazziste sotto l’insegna Black Lives Matter, lo spettatore si aspetterebbe un atto di accusa molto più incisivo e forte; poco importa a chi guarda il film che Monster sia di tre anni fa, quando il movimento di protesta non era ancora nato. Il film è sostanzialmente diviso in due parti che si alternano: quella dedicata alla ricostruzione della rapina durante il processo, e quella che ricostruisce momento per momento quello che è accaduto nel negozio e che lascia volutamente chi guarda il film con più di qualche dubbio su come siano accaduti i fatti. Non mancano momenti di pathos, legati soprattutto alla fase processuale (scene clou il momento in cui Steve esplode di rabbia con il suo avvocato e quando deve testimoniare per la sua innocenza) ma questo continuo rimando di flaskback alla fine risulta un po’ fastidioso così come l’eccessivo ricorso alla voce fuori campo che è quella dello stesso Steve che cerca di dare ulteriori elementi interpretativi allo spettatore.

Per quanto riguarda il cast di Monster, senza infamia e senza lode la performance del protagonista Kelvin Harrison Jr. (visto anche ne Il processo ai Chicago 7) e di Jennifer Ehle Ehle nei panni dell’avvocato difensore O’Brien. Da segnalare la presenza di attori consolidati come Jennifer Hudson e Jeffrey Wright nei panni dei genitori di Steve, o come Tim Blake Nelson (il professor Sawicki) che rimangono, però, molto sullo sfondo. Una curiosità, piccolo ruolo anche per il lanciatissimo John David Washington che qui impersona Richard Bobo Evans, uno dei due ladri, e che nel 2018 era ancora poco conosciuto. In sostanza un film che non aggiunge nulla al genere – ne abbiamo visti di molto più efficaci – che si fa vedere ma senza lasciare il segno nella sua prevedibilità.

Aldo Artosin