Madeleine (aspirante attrice) e Pauline (avvocata con zero clienti), che negli anni 30 dividono uno squallido appartamento parigino – per il quale sono perennemente in ritardo con l’affitto – e i frequenti digiuni, ingannano i pomeriggi al cinema. E al cinema vedono la proiezione di Amore che redime (diretto da Billy Wilder in Francia nel 1934, a causa della sua fuga dalla Germania nazista) in cui il protagonista Henri non vuole lavorare e così il ricco padre gli nega l’uso dell’automobile. André, l’amico (e quasi fidanzato) di Madeleine, si trova nella stessa situazione, perché è figlio di un ricco industriale (André Dussolier) che lo vorrebbe in fabbrica, ma lui preferisce passare il tempo ad amoreggiare e fare piani per il futuro con Madeleine sul tetto del palazzo di lei.
Mon Crime è tratto da una commedia di successo di quegli anni di Georges Berr e Louis Verneuil, poi adattata dal regista e dal suo co-sceneggiatore. Il rapporto tra un’attrice esordiente e un produttore che cerca di approfittarne – e viene poi ucciso – è il classico punto di partenza per le vicende di Madeleine (Nadia Tereszkiewicz), che trova in questa relazione un’opportunità per affermarsi. Aiutata in questo dalla sua compagna di stanza e amica, l’avvocato Pauline (Rebecca Marder), mostra il suo valore alla corte d’Assise di fronte a un grasso pubblico ministero e dopo che un incompetente giudice istruttore (Fabrice Luchini) si è convinto di aver trovato la giusta pista.
La messa in scena di François Ozon in questo luogo chiuso moltiplica i punti di vista, dividendo visivamente l’aula, i giudici, i giurati e gli effetti dell’agitarsi dell’avvocato dell’accusa. Il processo è anche l’occasione per introdurre da parte di Pauline un proclama sulla parità dei generi quanto mai poco adatto ai quei tempi ma – bisogna riconoscere – molto ben inserito.
Nadia Tereszkiewicz, premiata recentemente con un premio César (il David francese) in questo ritratto di una bionda impertinente è quanto mai efficace; Rebecca Marder, interprete della giovane Pauline, è una bravissima complice del gioco. Ma decisamente splendida è Isabelle Huppert, che quasi ruba la scena nell’ultima parte del film, nel ruolo di una star del cinema muto che vuole ritrovare il successo. I capovolgimenti di situazione e di ruolo fanno parte di una serie di luoghi in cui quinte, palchi, stanze e sipari si intrecciano per chiudere questo spettacolo in cui il cinema della vita si trasforma in teatro.
Già autore del bellissimo Frantz, con Mon Crime Ozon realizza il terzo capitolo di una sorta di trilogia di commedie sul secolo scorso, iniziata con Otto donne e un mistero nel 2001 e proseguita con Potiche – La bella statuina nel 2010. Già uno dei maggiori successi dell’anno al botteghino francese, certo il terzo è l’episodio sicuramente migliore e più coinvolgente.
Beppe Musicco
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