Il 31 ottobre del 1968, Donald Crowhurst, imprenditore nel ramo delle apparecchiature elettroniche e velista dilettante, salpava dal porto inglese di Teignmouth per partecipare a una delle più difficili imprese del tempo. L’anno precedente il velista britannico Francis Chichester aveva concluso il giro del mondo in solitaria, con un unico scalo in Australia. Un’impresa che aveva suscitato un’enorme eco nel mondo, tanto che il settimanale Sunday Times decise di sponsorizzare un’impresa ancora più rischiosa, mettendo in palio la cospicua (per i tempi) cifra di 5.000 sterline per chi fosse riuscito a ripetere l’esperienza di Chichester navigando sempre verso Est, ma senza mai fermarsi a terra. Affascinato dalla possibilità di partecipare a un’avventura sinora mai realizzata, e con la segreta speranza di vincere il premio per risollevare una pesante situazione finanziaria, Crowhurst – che in barca a vela raramente si era avventurato in mare aperto – trovò gli sponsor per costruire un trimarano di sua progettazione, ma a causa di difficoltà con i fondi e con i tempi, partì senza averlo messo a punto e con carenze nell’allestimento.

Diretto da James Marsh (già documentarista e poi regista de La teoria del tutto), Il mistero di Donald C. dipinge la figura di Crowhurst – interpretato da Colin Firth – come un uomo assennato, competente nel suo campo e buon padre di famiglia. Purtroppo gli sceneggiatori non sono stati altrettanto efficaci nell’indagare sui motivi di una scelta tanto avventata, che allo spettatore risulta veramente incomprensibile. Anche nei lunghi momenti sulla barca si fatica a entrare in empatia col protagonista, che nella sua solitudine fin da subito sembra rinunciare a risolvere i problemi della navigazione, lasciandosi andare alla deriva e abbandonandosi a sproloqui sull’impossibilità sia di finire la gara che di tornare e affrontare l’umiliazione della sconfitta. Mal supportati da inquadrature che vorrebbero accentuare lo stato di decadenza mentale, i misteriosi giorni in mare dello sfortunato velista rimangono misteriosi allo spettatore, e a poco valgono le espressioni accigliate e addolorate di Rachel Weisz rimasta sulla terraferma a badare ai figli, o all’agitarsi del bravo David Thewlis, che interpreta con grande volontà lo scialbo addetto stampa di Crowhurst, occupato a inventarsi notizie inesistenti da comunicare ai giornali. Poco avvincente nella sua inconcludenza, il film (cui a questo punto sembra ironico anche il titolo originale “La misericordia”) purtroppo fa la stessa fine del protagonista di cui vorrebbe narrare epicamente le gesta: vaga senza meta.

Beppe Musicco