L’inizio è choccante: nel giorno del suo undicesimo compleanno, Angeliki si sottomette mesta al rito delle foto, della torta, di balli in famiglia con il padre e le sorelle. Poi, sfruttando un momento di distrazione generale, apre la finestra e si butta di sotto. Stranamente, nessuno fa drammi in famiglia, dove semplicemente non sanno spiegarsi l’accaduto e il capofamiglia tende a sminuire il fatto; tutto rimane sotto traccia. Le indagini di polizia e assistenti sociali non riescono a focalizzare i motivi che possono aver scatenato il gesto della ragazzina: ma pian piano lo spettatore scopre una realtà di famiglia tragicamente disastrata. Con un uomo di mezza età che al compimento degli 11 anni prende “possesso” delle figlie, con una moglie che fa finta di niente, con una figlia/amante che sostiene con tutti di essere ragazza madre di un uomo che l’ha lasciata con le figlie, e che invece sono figlie/nipoti di quel mostruoso padre, dal sorriso inquietante… Che oltre tutto fa prostituire le figlie. Lo sfondo è la lugubre Grecia di oggi, tra crisi economica profonda (il padre/nonno che ottiene un impiego di 4 mesi a 530 euro al mese…), contraddizioni (le case dei ricchi) e colori smorti e plumbei.,Il film premiato a Venezia 2013 con il secondo premio (Leone d'argento per la miglior regia) e con la Coppa Volpi per il miglior attore è un attacco alla famiglia tanto violento quanto banale; la tesi (diciamo così) non detta ma evidente, della famiglia ricettacolo di ogni lordura e violenza, è ormai patrimonio di media e registi in cerca di facili consensi; non serviva certo il greco Alexandros Avranas per metterla a fuoco nel classico film da festival che ottiene premi facili e immeritati. Ma se in altri film sullo stesso tema – pensiamo per esempio a Festen del danese Thomas Vinterberg, che fu tra i primi film del gruppo Dogma – metteva in scena la scoperta di un trauma inconfessato del passato (senza bisogno di mostrar niente) che lasciava un dolore nello spettatore, qui c’è solo il compiaciuto squallore di una famiglia e della società, senza alcuna pietas e senza sconti di violenze e morbosità di ogni tipo (la figlia che schiaffeggia il fratellino, il vecchio che guarda la bambina ballare insieme al padre di lei). Si segnala, come scena esemplare, quando il protagonista porta nel retro di una tintoria la giovane figlia per farla prostituire in rapida sequenza da due uomini che la sodomizzano brutalmente; seguiti dal padre (raramente ne ricordiamo uno più schifoso di questo, al cinema) che si prende anche lui una fulminea e rapace soddisfazione; con l’unica differenza che lui non paga, sottolinea lei. ,Film d’arte? Lo hanno scritto molti critici – non tutti, per fortuna – e lo abbiamo sentito sostenere da cinefili accaniti, a Venezia. Ci piacerebbe fossero smentiti da spettatori normali. Ma anche se in genere evitiamo, per carattere, anatemi e “sconsigli” assoluti, crediamo di potervi evitare una pur comprensibile curiosità (perbacco: due premi alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia…) se vi diciamo accorati: fidatevi, questo film è una noiosa, scaltrissima, insopportabile, gratuita provocazione. Che si svela, nella sua furbizia, quando il dramma lascia il posto a compiaciuti esercizi stilistici odiosi e fuori luogo; perfino nella scena del suicidio, quando i parenti si girano con movimento sincronizzato ed elegante, da musical, verso la finestra da cui la ragazzina si è appena lanciata. Ed è fin troppo facile la conclusione, con l’atto riparatorio e liberatorio di una vendetta accolta con entusiasmo da chi arriva fino alla fine di questa “opera”: tanto per ribadire che non si tratta di un dramma in cui entrare per far luce su una situazione di contemporaneo squallore, ma solo di operazione a tavolino per vellicare le paturnie cinefile e per scatenare la pancia dello spettatore “indignato”. Non cascateci.,Antonio Autieri