Un vecchio padre che non parla con una figlia da più di vent’anni. La ferita ancora aperta di un uomo che ogni giorno partecipa alla Messa carico di domande e desideroso di salvezza. La ferita che brucia e che non si rimarginerà è il tratto fondamentale di Frankie Dunn, vecchio allenatore di boxe e soprattutto l’uomo che permette ai pugili di andare avanti nell’incontro, aggiustando nasi rotti e tamponando fiotti di sangue. La ferita come tratto distintivo dell’uomo torna ancora nel cinema di Clint Eastwood, dopo quella sinfonia del dolore che era stato Mystic River, racconto di tre uomini, un tempo amici, feriti da una perdita (una figlia, una donna, il sogno di felicità). Torna ancora la piaga dolorosa e ingiusta nel cinema di un autore che negli ultimi anni si è sempre distinto tra i colleghi per la sensibilità e la discrezione nell’accostarsi al dramma della vita. Dal cinereo western Gli spietati fino ai thriller solo apparentemente meno impegnati (Fino a prova contraria, Debito di sangue), passando per Un mondo perfetto, road movie senza via d’uscita e I ponti di Madison County, storia d’amore impossibile, Eastwood ha sempre guardato alla realtà con tante domande di significato e altrettanta nostalgia.
Million Dollar Baby è forse il capolavoro più limpido e amaro dell’attore scoperto da Sergio Leone. Una padre senza speranze ritrova la figlia perduta. Insieme, in lotta contro un mondo che pare percorso solo da ingiustizia e menzogne: figli che abbandonano i vecchi, padri morti prima del tempo, famiglie distrutte e madri odiose segnate solo da egoismo. Nell’inferno di una vita cupa (e tutto il film, giocato su continui contrasti tra luci accecanti e tenebre senza fondo è già un giudizio sui personaggi, uomini in bilico tra l’essere e il nulla, contesi dalle tenebre, eppure diretti verso la luce), in un contesto luttuoso, si innalza il sogno di ferro di una ragazza troppo vecchia per diventare campionessa eppure testarda come la più capricciosa delle figlie. Un’orfana alla ricerca di una maestro. Qualcuno che possa insegnarle tutto. Qualcuno a cui affidare la propria vita. Qualcuno con cui condividere un sogno di felicità. Ma la realtà, matrigna beffarda, è pronta a giocare l’ultimo, il più crudele dei suoi tiri.
Vedere Million Dollar Baby è come partecipare ad un incontro di boxe: si incassano colpi su colpi per più di due ore e alla fine si sta in piedi. Ma si perde ai punti. Una parabola amarissima non sulla boxe, che è evidente metafora del dramma dell’esistenza, quanto sui sogni spezzati, sulle domande di significato di cui sono carichi i due protagonisti e che si sfracellano a un passo dal traguardo. Non si può essere d’accordo su tutto quanto indicato da Eastwood nel suo film: il gesto che compie a un certo punto Frankie è agghiacciante e non giustificabile. Eppure, colpisce che anche di fronte alle scelte più dolorose, Eastwood si ponga con serietà e moralità. Il suo film racconta di uomini che sanno ciò che è bene e ciò che è male. Uomini che sbagliano ma sanno di commettere errori imperdonabili e di cui dovranno portare le conseguenze. Eroi solitari, definiti da una domanda radicale di significato, ma a cui nessuno è in grado di rispondere.
Simone Fortunato