Come regista, Sergio Rubini esce questa volta dalla Puglia dove ha girato tanti film, ma mantiene alcuni temi a lui cari, come il talento misconosciuto o il conformismo intellettuale e nel lavoro, argomenti già esplicitati con originalità in titoli come Colpo d’occhio e soprattutto nel riuscito L’uomo nero, da lui stesso interpretato. La vicenda di Mi rifaccio vivo prende le mosse dal suicidio di Biagio Bianchetti (Pasquale Petrolo, il Lillo del duo “Lillo e Greg”), commerciante che vede tutte le sue iniziative imprenditoriali avere la peggio rispetto a quelle dell’ex compagno di classe e rivale in affari Ottone di Valerio (Neri Marcorè) del quale non riesce a sopportare la fortuna sfacciata e la condiscendenza con cui lo tratta. Frustrato e indebitato decide di farla finita, sperando così di far saltare un affare che aveva in società con l’odiato Di Valerio, ma dopo una burrascosa accoglienza nella reception dell’altro mondo, viene rimandato indietro sulla Terra; questa volta nei panni di Denis Rufino (Emilio Solfrizzi), il manager cui Di Valerio si affida per le sue nuove, e non sempre oneste, attività commerciali. In questo nuovo corpo Biagio cercherà prima di vendicarsi di Ottone, per poi capire meglio le persone che gli stanno intorno (tra cui sua moglie) e cercare di riscattarsi facendo del bene. ,Molto riuscito nell’attacco, ambientato in una “accettazione delle anime” dell’aspetto della hall di uno stabilimento termale, nella quale in accappatoio e ciabatte si aspetta di sapere a quale piano si sarà destinati, il film si perde un po’ nella parte centrale, nella quale Solfrizzi e Marcoré devono supplire col fisico e la mimica a una sceneggiatura le cui idee si indeboliscono via via e che cerca di riaversi con una scena finale girata su un cornicione, con Marcoré nelle vesti del tentato suicida. Assolutamente di contorno i ruoli femminili: la Buy moglie nevrotica (sai che novità) e la Incontrada bella statuina. Forse il film avrebbe dimostrato una maggiore verve a ruoli invertiti, se si fosse affidato a Solfrizzi l’incipit e la chiusura, lasciando maggior sfogo al talento di Lillo nella parte centrale. Così il film oscilla sempre tra la commedia surreale e il tono moralisteggiante, raramente riuscendo a far ridere, men che meno a far provare simpatia per le cause umanitarie.,Beppe Musicco