In un periodo pieno di scomparse illustri nel mondo del cinema e della televisione, rischia di passare in secondo piano quella di Ilaria Occhini, che forse a qualche lettore dirà poco. Ed è un peccato che questa stupenda attrice, bellissima da giovane (vedere il primo video a fine articolo, ma in Rete si trovano anche brani di sceneggiati tv e opere teatrali dove è fantastica) e ancora molto affascinante in tarda età, sia poco celebrata – se non dagli addetti ai lavori – come merita.
Scomparsa il 20 luglio scorso all’età di 85 anni, era nata a Firenze il 28 marzo 1934 e respirò aria di cultura fin da piccola, essendo figlia dello scrittore Barna Occhini e nipote per parte di madre del celebre Giovanni Papini. Debuttò nel cinema ad appena 19 anni in Terza liceo di Luciano Emmer (1954), film di successo sui giovani “d’oggi” degli anni 50. A studiare recitazione pensò dopo, all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, che la portò nell’ambito teatrale dove si fece apprezzare diretta da registi come Luchino Visconti, Orazio Costa e Giuseppe Patroni Griffi. Ma è la televisione a regalarle la notorietà con i grandi sceneggiati di Anton Giulio Majano, L’Alfiere e Jane Eyre. Sul piccolo schermo dove ebbe poi una lunga e continua presenza, fino a pochissimi anni fa, come pure nel suo amato teatro.
Più discontinuo il suo apporto al cinema, se non in parti minori, e non per colpa sua; se non quella di mantenere un aristocratico distacco e di rimanere ultimamente aliena da quel mondo, anche perché il matrimonio negli anni 60 con Raffaele La Capria – un tenerissimo rapporto il loro, che ha commosso quanti hanno visto l’anziano scrittore piangerla ai funerali dopo 60 anni di matrimonio – la avvicinò sempre più a mondi colti e letterari piuttosto che al brulicante ambiente cinematografico. La ricordiamo comunque nel film a episodi I complessi di Dino Risi (1965), in Un uomo a metà di Vittorio de Seta (1966). E poi, decenni dopo, nel film che le regalò il Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista ovvero Benvenuti in casa Gori di Alessandro Benvenuti (1992). E poi una bella tripletta di ruoli recenti, molto riusciti: l’intenso Mar Nero di Federico Bondi (2008) con il quale vinse a Locarno il premio come miglior protagonista nei panni di una rigida vedova, costretta a un rapporto che non vuole con una giovane badante romena; la commedia Mine vaganti di Ferzan Özpetek (2010) con cui portò a casa il David di Donatello per la migliore attrice non protagonista (pur se pativa una scrittura un po’ forzata del personaggio); il sottovalutato Una famiglia perfetta di Paolo Genovese (2012), remake di un film spagnolo superiore all’originale. In quel film c’è un gran pezzo di bravura, in cui la donna – attrice di una “compagnia” molto sui generis – emoziona e lascia a bocca aperta i giovani colleghi con una performance “da morta” e con i suoi insegnamenti sul mestiere. Un piccolo saggio di classe, di tecnica ma anche di umanità che erano nel suo bagaglio personale. E che ci mancheranno molto.
Antonio Autieri
Ricordiamo Ilaria Occhini in alcuni suoi film. Con Nino Manfredi in I complessi (1965)
In Mar nero (2008), premiata al Festival di Locarno
In Mine vaganti di Ferzan Ozpetek (2010)
In Una famiglia perfetta di Paolo Genovese (2012)