Due autori teatrali, accompagnati da due amici, discutono al ristorante: per descrivere le miserie umane e il (triste) mestiere di vivere, è più adeguata la tragedia o la commedia? Insomma, si deve descrivere la vita con il dramma che è o osservarla con occhio sorridente per sorprenderne i lati comici, umoristici, grotteschi? Un amico offre a entrambi una storia, che per gioco i due autori si divertono “a tradurre” rispettivamente in forma di tragedia (ma noi diremmo dramma, di tragedia ce n’è poca) e di commedia.

Uno spunto iniziale molto interessante si perde per strada nell’ultimo film di Woody Allen, Melinda & Melinda. Il regista newyorchese, giunto ormai alle soglie dei 70 anni, sembra ormai aver disperso tutto il suo talento con l’età e con i drammi della vita: sarà una forzatura “moralista”, ma chi può negare che dopo la fine del sodalizio umano e professionale con Mia Farrow si sia rotto qualcosa? Da allora, dal 1992, un solo capolavoro – Accordi e disaccordi – e qualche buon film comico-sentimentale come Misterioso omicidio a Manhattan, Tutti dicono I love you e La maledizione dello scorpione di giada; ma anche tante pellicole (Woody è prolifico, sforna un film all’anno) brutte, mediocri o appena passabili. Nel raccontare la doppia “vita di Melinda”, o meglio la doppia possibilità di raccontarne le vicende tragicomiche, Allen sceglie giustamente di far ruotare tutti i comprimari tranne proprio Melinda, che è interpretato in entrambi i casi da Radha Mitchell (brava, ma imparagonabile con le grandi “nevrotiche” del passato di Woody, Diane Keaton e Mia Farrow, come qualcuno è arrivato a dire…). Nella parte “seria”, che ricorda vecchi drammi degli anni 80 e 90 del regista come Settembre ma senza lo stesso rigore (tanto che a volte scappano sorrisi involontari, perché la storia vorrebbe essere triste), il cast è di ottimo livello: si distinguono in particolare Chloe Sevigny e Chiwetel Ejifor. È in definitiva la parte più convincente del film, ma non del tutto: si lascia vedere, ma senza appassionarsi (anche per il taglio teatrale dei dialoghi, retorici e artefatti) alle disgrazie amorose della protagonista, che nasconde un terribile segreto, e le infedeltà a catena di una serie di persone. Antipatiche come poche, e come sempre si sospetta che siano gli intellettuali newyorchesi vagamente di sinistra e dediti ad arti varie. Ma raramente Woody Allen ha descritto con tanta mancanza di pietas i propri simili, e i più simili tra i suoi simili…

La storia parallela in commedia è invece a dir poco una barzelletta, dove l’unica curiosità è la scelta di un alter ego nel comico Will Ferrell che “fa” Woody nella goffaggine e nelle battute che il regista gli regala, e non se la cava male, ma il doppiaggio che imita quello di Oreste “Woody” Lionello è sommamente incongruo e irritante. Ma il resto del cast è sotto il livello cui ci ha abituato il grande autore di un tempo. E alcune soluzioni sono grossolane come poche (come il casuale incontro di Melinda con un nerboruto ragazzo di colore, per strada: tra le scene più imbarazzanti mai viste nei suoi film). Il problema di Melinda & Melinda, in realtà è la debolezza di tutto lo svolgimento, svogliato, fiacco, senza verve e umorismo brillante e intelligente cui ci ha sempre abituato il regista di Manhattan perfino in opere minori come Hollywood Ending o Anything Else. Altro problema: l’assunto di partenza non viene svolto con coerenza – si “bara” fin dall’inizio: le due storie non sono uguali ma svolte con stili diversi: se nella tragedia la donna ha tradito il marito che ora le impedisce di vedere i figli, da cui le sue sofferenze, in quella comica la separazione è più “tranquilla” anche perché i figli non ci sono… E i fatti tragici della prima Melinda non capitano alla seconda, senza contare che alla tristissima soluzione della prima storia corrisponde un lieto fine che più sfacciato e poco plausibile non si può…

Infine, dulcis in fundo (si fa per dire…) la moralina scontata appiccicata alla storia dai commensali che le hanno raccontate: tutto è nell’occhio di guarda, la stessa vicenda può essere tragedia o commedia. «Ma – conclude l’autore comico – noi ridiamo per esorcizzare la vita: godiamocela finche si può, perché c’è solo un giro!». Insomma, chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza. Un “carpe diem” dei poveri, tanto cinico quanto ridanciano e banale.

Antonio Autieri