Figli di un nobile e cresciuti in un rapporto simbiotico, Marguerite e Julien da adolescenti iniziano a sentire sentimenti d’amore reciproci. Che inizialmente sembrano non confessare nemmeno a se stessi. Quando la passione deflagra, la famiglia cerca di dividerli in tutti i modi, evitare scandali, stroncare la loro storia. Ma i due sembrano attirati da forze irresistibili e superiori a ogni ostacolo, e riescono a riunirsi e a fuggire insieme. Non riuscendo però a evitare un terribile destino.

Da una sceneggiatura scritta a inizio anni 70 per François Truffaut (che per fortuna poi lasciò perdere), Valérie Donzelli impagina un melò collocato in un preciso momento storico ma con uno stile volutamente anacronistico che sembra voler rifare il cinema “alla maniera di una volta” ma con la “libertà” narrativa e visiva del cinema contemporaneo; oltre tutto mescolando ambienti e oggetti del ‘600 con quelli di secoli successivi. La storia di Marguerite e Julien dovrebbe essere quella di un “amour fou” travolgente e passionale, ma la scelta di stile – anche con la cornice della storia raccontata da bambini in un orfanatrofio come se fosse una leggenda – rende il tutto distante e freddo. Senza contare una scansione degli eventi confusa e zoppicante, che finisce per far diventare il film un polpettone indigesto. Che gioca fin troppo facilmente sul morboso ma non emoziona mai, punta sul facile “senno di poi” basato su un punto di vista contemporaneo – anche se letterariamente universale: omnia vincit amor – che dovrebbe far simpatizzare per la coppia incestuosa e far deprecare la cattiva società che si oppone al loro sentimento.

Per la Donzelli, attrice che fu esaltata al suo esordio alla regia per il bellissimo La guerra è dichiarata, al quarto film si può dire che quella sua prima prova per ora è stata una meteora. Peraltro anche i due interpreti, insieme, funzionano poco: se Anaïs Demoustier, giovane e brava attrice emergente, è credibile nei panni della ragazza, Jérémie Elkaïm – ex marito della regista, con cui ha sempre recitato e insieme alla quale era perfetto in La guerra è dichiarata: non a caso era la loro storia, autobiografica al massimo – è troppo vecchio per recitare l’adolescente nella prima parte del film, e comunque dimostra tutti i dieci anni di differenza dalla partner (ma i due fratelli erano vicini d’età). Alla fine l’unico momento d’emozione è quando – peraltro nella goffa scena notturna della fuga – si vede un bambino che aiuta i fuggitivi: è il piccolo protagonista del già citato La guerra è dichiarata, figlio nella realtà di Valérie Donzelli e Jérémie Elkaïm. Per chi ha amato quel film e la storia piena di sofferenza di quel bambino è un piccolo colpo al cuore. Che però non ha nulla a che fare con questo debole, dimenticabile film.

Antonio Autieri