A dieci anni dall’enorme successo del primo film, tratto da un già fortunatissimo musical teatrale e basato sulle canzoni del gruppo svedese ABBA, arriva inevitabilmente il sequel, che in parte è anche un prequel. Sophie lavora nell’incantevole isola di Kalokairi in Greca per ristrutturare e riaprire il vecchio albergo della madre Donna (scomparsa da anno) che chiamerà in suo onore Bella Donna. Per l’occasione manda inviti alle persone più legate alla madre, ma nel frattempo il suo amato Sky rimane negli Stati Uniti. Anche lei è destinata a rimanere sola, e in circostanze analoghe. E se dei suoi “tre padri”, pare si presenti solo Sam, arrivano le inseparabili amiche della madre, Rosie e Tanya, per aiutarla. Ma nonostante l’impegno e l’aiuto di tanti, a cominciare dal direttore dell’albergo Fernando Cienfuegos, tutto sembra finire male quando un uragano distrugge l’allestimento per la festa inaugurale…

Se il film di dieci anni fa (che poteva irritare o trascinare) giocava a tratti spericolatamente e consapevolmente con il kitsch ma riusciva a esaltare le canzoni degli ABBA – nonostante una trama esilissima – grazie alle scatenate danze e coreografie che accompagnavano i pezzi, stavolta è tutto più sottotono. Innanzi tutto, lì c’era da organizzare un matrimonio, cui si presentavano tre potenziali padri della sposa, con equivoci a non finire. Qui, si parte da un lutto (anche se “fuori scena”), e la festa è per la riapertura di un albergo: non è proprio la stessa cosa. In realtà a non funzionare è la storia, ancora più debole tanto che si appoggia moltissimo ai flashback sui tre incontri di Donna con i tre Sam, Harry e Bill da giovani: tre avventure rapidissime e susseguenti, che giustificano il dubbio su chi sia il padre di Sophie. Alcune canzoni sono le stesse (a partire da quella che dà il titolo ai due film, ma torna anche “Dancing Queen”), eppure il risultato è completamente diverso; dove c’era un’apparente spontaneità, in realtà frutto di “numeri” congegnati in maniera perfetta, qui c’è un virtuosismo freddo che non genera lo stesso stupore ma, al massimo – a tratti – contenuta approvazione.

La lacuna più grande si chiama Meryl Streep, che appare brevemente solo nel finale. Tanto che ci si chiede che senso abbia fare un sequel da un film di un enorme successo, per ripresentare tutto il cast tranne la migliore… Per quanto si impegnino gli attori (soprattutto Amanda Seyfried), capiamo ora che la forza di Mamma mia! era il suo inimitabile carisma, che si metteva in gioco a ogni brano/esibizione in maniera irresistibile. Anche le due scatenate amiche (interpretate da Christine Baranski e Julie Walters), perdono parecchio; mentre il terzetto Brosnan-Firth-Skarsgard non ha molto spazio per farsi apprezzare. Quanto ai flashback, che rendono questo film un raro caso di sequel/prequel, sono graziosi e molto più allegri (rievocando la spensieratezza della gioventù die vari personaggi) ma dimenticabili: a parte Lily James, gli altri giovani interpreti sono alquanto acerbi. Ma non aggiungono molto neanche i “maturi” Andy Garcia e Cher, che irrompe in un pre-finale che vorrebbe essere una mirabolante sorpresa. E che invece sfiora il ridicolo.

Antonio Autieri