Siamo nel 1958 in un piccolo paese del sud Italia. Ciccio Paradiso è un contadino di 40 anni. È sposato con Lucia e hanno un figlio di 7 anni. Ciccio sogna di cambiare le cose e lotta con i suoi compaesani contro chi da sempre li sfrutta nei campi. È innamorato di Bianca, la figlia di Cumpà Schettino, un perfido e temuto proprietario terriero che da anni sfrutta i contadini. Ciccio vorrebbe fuggire insieme a lei e andare al Nord da Antonio, suo fratello gemello, ma – non appena Cumpà Schettino verrà a conoscenza della loro relazione – una serie di eventi inizierà a sconvolgere la vita di tutti e niente sarà più come prima.

Prodotto da Mediaset per Netflix, L’ultimo Paradiso vede Riccardo Scamarcio nella doppia veste di protagonista nei panni di Ciccio e di Antonio, e in quelli di coproduttore con la sua Lebowski. La regia del film, che si ispira a fatti reali, è stata affidata a Rocco Ricciardulli, qui al suo secondo lungometraggio. Ambientato in Puglia, nelle campagne intorno a Gravina, il film è stato presentato dal regista – ma anche dallo stesso Scamarcio – come un lavoro che vuole mettere a tema il problema del capolarato, dello sfruttamento dei contadini e della sopraffazione delle donne, del desiderio di emigrare al Nord ma anche di tornare. Temi attuali anche oggi e non solo nell’Italia del 1958. Davvero tanti argomenti tutti molto interessanti. Il problema è che vengono trattati e rappresentati in modo poco efficace; rimangono sempre sullo sfondo e neanche ben raccontati (soprattutto il tema del capolarato, con solo una scena di lavoro nei campi) mentre a prevalere è l’aspetto melodrammatico della vicenda.

Centrale è l’amore impossibile tra Ciccio, cuore inquieto e ribelle, e Bianca con le tensioni e i problemi di onore che questo genera perché l’uomo è sposato e Schettino non può accettare che si innamori della figlia; sicuramente, chi ama questo genere cinematografico ne L’ultimo Paradiso può trovare elementi di interesse. A una prima parte del film, dove a dominare è l’inquietudine e il desiderio di fuga di Ciccio, ne segue una seconda in cui entra in scena Antonio che torna al paese dopo l’omicidio del fratello e che rappresenta quella generazione di emigrati che nel profondo ha ancora nostalgia del Sud. Nel complesso lo svolgimento della storia, anche nei suoi tratti più drammatici, è piuttosto prevedibile; convince la ricostruzione molto realistica della Puglia di fine anni 50 che stride, però, con un finale tra il sogno e il magico. Nel film Scamarcio si fa apprezzare più nella parte di Antonio, con una recitazione trattenuta e misurata, piuttosto che in quella di Ciccio anche se nella sua carriera ci ha regalato interpretazioni decisamente migliori. Più efficace Antonio Gerardi nei panni del cattivo Schettino, mentre troppo in secondo piano la figura della brava Valentina Cervi nei panni di Lucia.

Aldo Artosin