Lucky è un uomo forte e in salute, e nonostante la sua veneranda età è riuscito a mantenersi in forze per dedicarsi ad una serie di attività quotidiane che vanno dagli esercizi di stretching e yoga al mattino al Bloody Mary consumato al saloon della città poco prima di andare a letto; cullato dalla rassicurante ripetitività delle sue giornate egli entra in crisi quando una banale caduta in casa gli farà mettere in discussione le sue certezze e lo porterà a riflettere sul proprio destino.

Non è mai facile parlare di vecchiaia e delle sue inquietudini sul grande schermo senza sconfinare nel pietismo; eppure l’attore caratterista John Carroll Lynch, qui al suo esordio dietro la macchina da presa, ci riesce in modo raffinato, sfruttando con intelligenza un mix di ingredienti di ottima qualità. Con la guida della fenomenale maestria del collega e amico Harry Dean Stanton, scomparso poco dopo gli ultimi ciak del film, Carroll Lynch riesce a costruire un personaggio affascinante, costantemente in bilico tra il cinismo dell’ateo incallito e orgoglioso e la tenerezza di un uomo ancora bisognoso di essere amato. Lucky è un’opera tutta costruita sulla forza metaforica delle parole e degli sguardi del protagonista: egli si muove in un contesto narrativo in cui la linearità della trama è sostituita da una serie di tappe esistenziali, affiancate da contingenze forse banali, ma che vengono abbracciate con eleganza e una certa dose di ironia. A partire dall’incidente casalingo che funge quasi da epifania, ogni elemento della realtà data fino a quel momento per scontata inizia a parlare – anche in modo minaccioso – a Lucky, creando delle crepe nelle certezze alle quali si era affidato fino a quel momento; da qui in poi ogni passo è una cauta scoperta di uno stupore per la vita e per la presenza dell’altro a fianco a sé.
Non mancano neanche atmosfere oniriche e surreali, con un omaggio a David Lynch che qui interpreta Howard, amico di Lucky e personaggio chiave della storia. L’interpretazione di Harry Dean Stanton è misuratissima e per questo straordinaria, riuscendo nell’impresa di sollecitare, spesso con la sola espressività degli occhi, il cuore e la mente dello spettatore. Con semplicità e una profondità priva di intellettualismi Lucky indaga l’animo di un uomo che sembra sapere e aver vissuto tutto e al quale manca, per essere felice, la compagnia di un amore gratuito che gli ricordi il valore della sua esistenza.
Sentirsi da soli e stare da soli sono due cose differenti”, Lucky docet: un film sì sulla vecchiaia e sulla paura della morte, ma che sa trattare una solitudine esistenziale che oggi più che mai attraversa tutte le età della vita.

 

Maria Letizia Cilea