La seconda parte del film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi e il vasto mondo di cortigiani e cortigiane (e qualche affetto sincero, ma messo a dura prova) inizia con un doppio Toni Servillo: di fronte al Cavaliere, siamo a fine 2007, c’è l’amico fidato e socio Ennio Doris (a capo della banca Mediolanum), appunto interpretato dallo stesso Servillo come in un gioco di specchi… Doris incoraggia Berlusconi, in disarmo e quasi depresso, a tornare con forza sulla scena politica dove è confinato all’opposizione. E come? Comprando alcuni senatori e facendo così cadere il governo Prodi… Una scena che è il simbolo di una “cifra stilistica” deludente: Servillo per tutto il film risulta quasi fastidioso nell’imitazione della cadenza lombarda del protagonista. In questa scena il disagio diventa doppio, di fronte a una doppia macchietta che ricorda certi sketch televisivi o in Rete. O certe “brutture” di suoi film precedenti (il Maradona di Youth, per esempio). Non meno deludenti sono certi dialoghi didascalici, nella scena già raccontata e in molte altre: su tutte, il j’accuse di Veronica Lario, a un passo dal divorzio, nei confronti del potente marito, con le classiche accuse dei suoi nemici (le origini oscuri delle sue fortune e così via, accuse cui lui replica solo «mi avvalgo della facoltà di non rispondere). Possibile che la donna che ha vissuto oltre 25 anni con lui, sul finir della loro storia tiri fuori certe affermazioni “alla Travaglio”? Dopo così tanto tempo? Oltre tutto con un tono di serietà straniante rispetto all’ironia o al sarcasmo generale del resto dell’opera.

Loro 2, preso singolarmente, è un po’ meglio della prima parte, appesantita da una prima ora volgare e “orgiastica” davvero eccessiva e vacua. Qui paradossalmente, pur entrando in scena il famigerato bunga bunga delle feste in Sardegna, ci sono sì alcuni spettacoli indecenti con soubrette “scostumate”, ma al centro c’è appunto il tentativo – poco convinto – di salvare il matrimonio e di sentirsi nuovamente un vincente. In una delle poche scene intriganti, Berlusconi telefona a una donna scelta a caso sull’elenco per proporle sotto falso nome un affare immobiliare (inesistente), e prima viene respinto ma poi entra nelle sue difese con il consueto charme da affabulatore. Ma qui Silvio B. parla con cadenza diversa, napoletana (e infatti Servillo qui è credibile), aumentando però le perplessità su un personaggio  che – al di là di alcune intuizioni («la sinistra non mi ha mai capito» – è solo grottesco senza la genialità del Divo andreottiano. Si rimpiangono certi apologhi del cinema politico di una volta, che alludeva a certi personaggi ma cambiando i nomi così da poter avere maggior libertà narrativa. Se invece “quello” è Berlusconi, l’impressione è di grande modestia (senza contare le differenze eccessiva: l’altezza di Servillo, la cadenza ecc.).

Eppure sono ben altre le perplessità di fronte a un’operazione inutilmente “grossa” (le assurde due puntate, davvero poco giustificabili), con tanti episodi inutili che allungano il brodo. Si conferma l’impressione di trovarsi non di fronte a un film, ma a una serie tv di cui alla fine i più convinti dovrebbero aspettare la terza puntata… Si sottolineano le differenze di caratura dei vari personaggi di contorno, ma stavolta scolorano perché poco incisivi anche quei pochi che sembravano interessanti (quelli interpretati da Riccardo Scamarcio, Euridice Axen e Kasia Smutniak); ci si chiede con sempre minore interesse chi sia il misterioso uomo vestito di bianco che protegge il Berlusconi e controlla, blandisce, minaccia chi li si avvicina o non sa comportarsi, e anche l’ancor più misterioso “Dio”; mentre altri non prendono mai spessore (la Cupa “simil Santanchè” di Anna Bonaiuto, l’ex ministro di Fabrizio Bentivoglio che assomma caratteristiche di vari politici di Forza Italia). E poi si accumulano una serie cospicua di aneddoti, episodi sopra le righe, riferimenti alla cronaca: tutti già conosciuti da tanti italiani. A che pro un simile “Carnevale” senza guizzi e invenzioni, che non siano quei manierismi che da La grande bellezza Sorrentino ripete sempre uguali (come i ralenti)? O quei dialoghi ben più poveri del solito, con poche battute davvero acute e tanti slogan («chiudo il sipario della vita coniugale con te»).

Il finale, dopo una virata tra il patetico e il tragico non credibile, vorrebbe poi essere duro e poetico al tempo stesso (con il terremoto di L’Aquila, le promesse di ricostruzione e i nuovi crolli) e risulta invece semplicemente pretestuoso. Con annessa citazione felliniana e metafore inquietanti sul crollo del Paese non giustificate da quanto visto nelle tre ore e passa precedenti: se l’obiettivo dell’autore era di arrivare a un epilogo così apocalittico e fosco, che senso hanno avuto le vicende inconsistenti rappresentate? Un caleidoscopio di immagini poco utili a delineare sia un ritratto di Berlusconi interessante (tanto per chi lo detesta, che ne ha avuti di migliori, che per gli osservatori disincantati) che un affresco minimamente credibile di un Paese che ha convissuto per decenni con una figura ingombrante. E quindi sì, confermiamo quanto scrivemmo dopo il primo episodio: anche visto nel suo complesso, Loro è il film più debole del regista napoletano. Che si è scontrato con l’impossibilità di rendere storia quel che è ancora cronaca.

Antonio Autieri

https://youtu.be/vzs5-MDjG_k