Andrea Segre non è nuovo a tematiche spinose come quelle dell’immigrazione e dell’identità dell’uomo, affrontate già con buoni risultati con i film Io sono Li e con il documentario Mare Chiuso. In L’ordine delle cose però sembra davvero aver fatto un passo avanti nella volontà di affrontare il tema dell’identità e dell’immigrazione privilegiando l’aspetto umano e personale senza scadere in nessuna faciloneria di giudizio, né sfruttando nessuna banale storia di commozione ed indignazione da talk show.
Il film sorprende fin dalla scelta del protagonista: Corrado, uomo misurato e amante della scherma, è un alto funzionario del Ministero degli Esteri ed ha il delicato compito di muovere gli equilibri politici sullo scacchiere dei rapporti tra Italia e Libia in questione di immigrazione. È capace destreggiarsi tra le autorità politiche e gli interessi economici delle due nazioni per bloccare il flusso di migranti diretto verso le coste italiane, finché lo scontro con la cruda realtà di un carcere per migranti sulle coste libiche non interpella in modo incontrovertibile la sua umanità.
Il carisma del personaggio si delinea tramite poche, efficaci sequenze già nei primi minuti, e si evolve nel corso della storia in una serie di sfumature e di sotto-narrazioni che mirano a creare una certa empatia con lo spettatore, il quale inevitabilmente lo elegge ad eroe della storia; una sceneggiatura intelligente e frutto di un evidentemente lungo studio della realtà politica trattata, pone la storia al di sopra degli slogan politici e militanti della difesa dei diritti umani, puntando direttamente all’antica dicotomia tra bene e male, tra la ragione di Stato ed il cuore dell’uomo, che non è mai indifferente di fronte al desiderio di felicità di chi non ha nulla se non la speranza di potersi ricostruire. E allora ecco che il film si snoda nell’arduo percorso del protagonista, continuamente sul filo del rasoio tra contingenze e scelte che potrebbero rivoluzionare la vita di molti (compresa la propria), trasferendo spesso il peso di tali scelte sullo stesso spettatore, che nonostante alcune lungaggini forse evitabili, percepisce su di sé la tensione della storia fino alla fine della narrazione. Un film forse non perfetto, ma che ha il grande pregio di scoprire le trame più drammatiche della questione dell’immigrazione, quelle troppo spesso passate in sordina eppure così incredibilmente vicine alla nostra quotidianità.
Letizia Cilea