Tutti i critici, giustamente, hanno esaltato l’interpretazione di Julianne Moore. Esemplare nell’esprimere lo straniamento di chi era convinto che ogni cosa potesse rimanere per sempre nella stessa collocazione (lavoro, gli affetti, convenzioni sociali) e si ritrova sconvolta e senza più appoggi, a parte l’amicizia (giudicata scandalosa) con il giardiniere di colore. Anche le ambientazioni, i costumi, le musiche ricreano perfettamente l’atmosfera pseudo-idilliaca dell’”american way of life”. Perché allora il film non convince appieno? Non certo perché desti scandalo la scoperta di un coniuge omosessuale (il regista è molto attento a limitare le scene che potrebbero essere giudicate morbose o di cattivo gusto), quanto piuttosto per una confezione che nel complesso risulta molto di maniera. La brava casalinga, il marito che si scopre gay e annega la disperazione nell’alcool (un Dennis Quaid recitativamente molto al di sotto della sua partner femminile), l’umile giardiniere vedovo che però è appassionato d’arte, le insopportabili amiche pettegole. Tutto risulta molto prevedibile, se non già visto, e alla fine non si capisce se è più conformista la vita ipocrita dell’inizio del film o le coraggiose scelte (sempre molto politicamente corrette) con cui si conclude.

Lontano dal paradiso
La vita tranquilla di una moglie felice nell’America degli anni ’50 è sconvolta dalla scoperta che il marito ha tendenze omosessuali