Peter Jackson, il regista neozelandese, dopo aver finito di girare Il Signore degli Anelli, aveva affermato che era stata un’esperienza irripetibile. Non senza una buona dose di autoironia, ha commentato, dopo aver terminato le riprese de Lo Hobbit: “Adesso di esperienze irripetibili ne ho due…”. Quello che, fino a pochi anni fa, sembrava solo un pio desiderio dei numerosissimi lettori – sparsi per tutto il mondo – delle opere del professor John Ronald Reuel Tolkien, è divenuto realtà. Ci sono voluti prima i tre capitoli del ciclo de Il Signore degli Anelli perché i produttori della New Line e della Warner Bros. si convincessero che il primo libro della saga della Terra di Mezzo (scritto negli anni 30 del secolo scorso come fiaba per bambini) si prestasse in maniera convincente alla trasposizione cinematografica. Tre episodi che hanno fatto incetta di incassi e di premi sono stati la migliore controprova, e il risultato è che il prequel di uno dei romanzi più famosi del mondo arriva nei cinema in una versione tecnicamente impressionante, sfoggiando non solo la tridimensionalità, ma, grazie alle riprese a 48 fotogrammi al secondo, con una nitidezza e definizione letteralmente imparagonabili. La scelta di spezzare la vicenda in ben tre episodi (che usciranno a distanza di un anno l’uno dall’altro), se è facilmente comprensibile da un punto di vista strettamente commerciale lascia un po’ perplessi quando si paragonano i due libri: visto che “Lo Hobbit” è si e no un quarto de “Il signore degli Anelli”, era lecito aspettarsi una versione cinematografica più snella, magari per lasciare al dvd (come è stato fatto per il ciclo precedente) la versione estesa, da guardarsi senza fretta o a puntate sul televisore di casa propria. Invece ha prevalso un’aderenza più che letterale al testo: non solo (almeno in questo primo film) si ritrova ogni esclamazione, punto e punto e virgola presenti nel libro, ma addirittura possiamo assistere a scene e dialoghi che (pur se perfettamente armonizzati) non compaiono sulla pagina scritta. Materiale che deriva in gran parte dalle chiose e riflessioni finali de “Il Signore degli Anelli” e che, come già detto, non stridono affatto con la vicenda. Che molti conoscono: il giovane hobbit Bilbo Baggins viene strappato dalla placida vita della Contea da Gandalf il Grigio, stregone specializzato in fuochi d’artificio (ma presto tutti impareranno a valutare differentemente le capacità magiche di quest’uomo con barba, cappello e bastone) per imbarcarsi in una bizzarra avventura con un gruppo di nani che vogliono riprendere possesso della loro dimora: una montagna colma d’oro che ora è diventata il rifugio di Smaug, un terribile e gigantesco drago sputa fuoco. La totale imperizia di Bilbo nell’uso delle armi è compensata da un inatteso coraggio, e il piccolo hobbit saprà conquistarsi “sul campo” la stima degli scontrosissimi compagni di viaggio. Visivamente impressionante nei panorami e negli effetti speciali (dai più semplici ai più cruenti) il film ancora una volta dimostra l’affiatamento di Peter Jackson e delle due sceneggiatrici Fran Walsh e Philippa Boyens, cui si è aggiunto questa volta il regista spagnolo Guillermo del Toro. Musiche, dialoghi, battaglie, ci riportano di colpo alle atmosfere entusiasmanti de Il Signore degli Anelli, ma anche ai pericoli insiti in un contatto così prossimo con forze oscure e incontrollabili (e l’incontro con Gollum da questo punto di vista è la cosa più impressionante). Tolkien, uomo colto e profondamente religioso, sapeva bene quali tentazioni possano sfidare il cuore umano e le migliori intenzioni, e ancora una volta detta le condizioni per affrontare, nella Terra di Mezzo come qui, l’avventura: lealtà alla compagnia, onore (ossia rispetto per se stessi e gli altri) e un cuore volenteroso.,Siete pronti?, ,Beppe Musicco

Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
Il mite e bonario Bilbo Baggins riceve la vista di Gandalf lo stregone e di alcuni nani, che lo coinvolgono in una avventura cui non avrebbe mai immaginato di partecipare.