Diciamolo subito: L’invidia del mio migliore amico ha dalla sua l’idea strepitosa del “Va-poo-rizer”, lo spray che vaporizza la popò dei cani, e vedere Jack Black che fa l’imbonitore televisivo per pubblicizzarlo vale tutto il film. Non pensiate però a una pellicola volgare o grossolana, perché lo scatologismo si ferma qui. Come dice anche il titolo, la storia ha ben altre mire: Ben Stiller tutte le mattine esce di casa e sale sulla sua malconcia auto e nello specchietto vede il suo migliore amico (quello che gli aveva chiesto 2.000 miserabili dollari per entrare in società), che ha trasformato la sua villetta in una sorta di tempio palladiano e scorrazza in vestaglia leopardata su un purosangue bianco. È una lenta tortura, che unita ai continui rinfacciamenti della moglie (che fa anche largo uso del “Vapoorise”) lo porta ad assoldare uno strampalato vagabondo (Christopher Walken, ve lo ricordate ne “Il cacciatore”?), per rovinare la felicità dell’altro. Naturalmente i due si rivelano totalmente incapaci di compiere azioni malvagie, ma la cosa sarà comunque di lezione per tutti. Il film è a tratti divertente, ma potrebbe esserlo molto di più, se Jack Black venisse lasciato più libero nella sua vena folle, come School of Rock insegna. Il regista Barry Levinson invece si cimenta per la prima volta con questo genere, per cui in certi punti capita che il drammatico e il comico, messi insieme a forza, stridano visibilmente, e Ben Stiller non sappia bene che espressione prendere. La commedia “noir” è un genere particolare e attualmente conta pochi realizzatori (i Coen, Danny De Vito, tempo fa i Monty Python). Levinson non è tra quelli e, nonostante un cast niente male, riesce a rendere noioso e imbarazzante gran parte del film.