In Danimarca non esiste solo Lars Von Trier. Avevamo già assistito alle prove di Vinterberg (Festen) e di Kragh-Jacobsen (Mifune), ora scopriamo un nuovo nome: Per Fly. Il suo film, “L’Eredità”, rivela indubbiamente una certa influenza che proviene dalla scuola “Dogma”, fondata da Von Trier nel 1995 e che si basa su quelle regole ormai diventate famose: camera a spalla, attori non professionisti, locations autentiche e non ricostruite in studio, niente musiche. Un’influenza che sembra essere solo parziale: la regia di Per Fly rimane infatti un po’ più classica e morbida rispetto a quella più radicale di Von Trier. La fotografia è sgranata e la macchina a spalla ondeggia vistosamente solo a tratti. Si ha l’impressione che il regista danese abbia appreso solo a metà la lezione del “Dogma”.,Anche sul piano dei contenuti l’opera di Fly si scosta notevolmente dai temi “vontrieriani”: se il “genio maledetto” ha puntato spesso allo scandalo e alle emozioni sconvolgenti e disturbanti, il regista de “L’Eredità” si accontenta, per così dire, di far riflettere lo spettatore su temi importanti senza puntare a una commozione forzata.,Il punto di forza del film sta nella riflessione e nel confronto tra tutto ciò che è concreto e materiale e tutto ciò che è spirituale e sentimentale. Un uomo sereno, tranquillo e felicemente sposato, si ritrova suo malgrado a dover prendere in mano l’azienda di famiglia dopo la morte del padre. L’ingresso in un mondo spietato che punta solo al profitto e che perde di vista i valori fondamentali della vita quali l’amore, il rispetto, l’umanità e l’amicizia avrà delle conseguenze devastanti sulla sua personalità e sulla sua vita.,Se inizialmente Cristoffer sembra non voler cedere alle dinamiche spietate delle strategie aziendali (licenziamenti, offese e altro), andando avanti nel suo lavoro finirà per soccombere a questo cambiamento violento della sua vita e ne accetterà le conseguenze. La madre di lui incarna alla perfezione questo mondo freddo e asettico: stimola continuamente il figlio a concentrarsi solo sul lavoro e a trascurare la famiglia, è lei che gli consiglia, non preoccupandosi di ferire sua figlia, di dare il ben servito al di lei marito.,Dall’altra parte la moglie di Cristoffer: l’àncora al mondo fatto d’amore e di serenità che si era costruito prima di ricevere “L’Eredità”. ,Meglio seguire le ragioni del cuore o quelle del successo, sembra chiedersi il regista? Possono i beni materiali dare la felicità? La sua risposta sembra essere negativa: gli eventi esterni alla nostra vita, indipendenti dalla nostra volontà, possono obbligarci a cambiare in peggio e risulta difficile rimanere fedeli alla propria identità. Tutta la tristezza del protagonista è racchiusa nella bella immagine in cui, seduto su una panchina, osserva la moglie affacciata alla finestra come se fosse in un mondo ormai a lui inaccessibile, un mondo in cui tutti quei valori nei quali aveva creduto sembrano essere lontani anni luce.,